L'essenziale è invisibile agli occhi
Data Centers of the future are here
A cosa pensate quando vi dico Shining?
Sicuramente per molti di voi la prima immagine sarà quella di un bambino che avanza nel famigerato albergo sulle montagne del Colorado, girando di stanza in stanza con il suo triciclo. (Per chi non la conoscesse, potete trovare la famosa sequenza qui).
Gli escamotage narrativi individuati da Stanley Kubrik per questa opera sono diversi.
Sicuramente i primi che saltano all’occhio sono i continui angoli che Danny svolta, passando da una stanza alla successiva, creando una crescente aspettativa nello spettatore: cosa ci sarà dietro alla prossima curva? Oppure l’inquadratura che non lo riprende mai in volto, ma sempre di schiena, rendendo impossibile indovinare quali emozioni stia provando. Non in ultimo noterete i rumori che si alternano in un gioco di pieni e vuoti, tra le ruote del triciclo che corrono rumorosi sulle diverse superfici dei pavimenti e poi sui tappeti, che assorbendo i suoni producono un silenzio inquietante.
C’è un altro elemento che contribuisce fortemente alla narrazione e alla composizione della scena, ma che molto spesso passa inosservato: la luce.
Osservando con attenzione, infatti, si nota che il tipo di illuminazione cambia da stanza a stanza. Nella grande cucina dell’hotel la luce è fluorescente, proveniente dai neon a soffitto, con una dominante di tonalità verde. Passando poi al primo salone, la luce è incandescente con una dominante giallo rosata. La hall dell’albergo è inondata di luce naturale, grazie alle grandi vetrate in ingresso, con una dominante azzurra. In un una simmetria perfetta, poi, il nostro Danny si ritrova nel secondo salone, luce incandescente a dominante giallo-rosata, e ritorna in cucina, chiudendo il cerchio.
Possiamo affermare che Kubrik fosse un bravissimo lighting designer.
Ci troviamo infatti davanti ad un progetto illuminotecnico perfetto, tenendo conto delle tecnologie dell’epoca. Le diverse tipologie di luce corrispondono perfettamente, quasi da manuale progettuale, all’utilizzo che ne andrà fatto nei diversi ambienti. Basti pensare alla luce fluorescente in cucina: un ambiente dove serve una luce uniforme, fredda, e nel contesto di una struttura alberghiera, dove le apparecchiature devono essere di facile manutenzione e a basso consumo. Al contrario in un’area lounge, come nel salone dell’hotel, è più adeguata una luce che infonda tranquillità e che ricordi un ambiente domestico, accogliente, come una luce ad incandescenza calda.
E poi l’illuminazione naturale, che non è sempre la scelta ideale (basti pensare alla luce che serve all’interno di una galleria d’arte per illuminare le opere), e fino a poco tempo fa veniva evitata anche in ambienti commerciali o in uffici. Solo ultimamente si è recuperato questo tipo di illuminazione come di valore, anche grazie ai criteri per l’ottenimento di certificati e riconoscimenti per la sostenibilità dei progetti (come LEED e WELL).
Attento all’illuminazione delle scene dei suoi film in maniera quasi maniacale, Kubrik ha fatto della luce una delle componenti narrative più rilevanti nelle sue pellicole. Quello che colpisce, riguardando la scena di Shining, è proprio come grazie alla luce si ottenga un effetto realistico, gli ambienti diventano familiari e non risultano più estranei allo spettatore. Questo accade proprio perché in ogni ambiente l’illuminazione è stata studiata ad hoc.
Se volessimo fare un’analogia con il mondo dell’arte, potremmo affermare che l’illuminazione sta ai film di Kubrik come la luce nei quadri di Vermeer: iper realistica.
Il mondo del cinema in termini di illuminazione è una fonte inesauribile di ispirazione.
Basti pensare ai film di Dario Argento, dove l’illuminazione delle scene si ‘piega’ alla narrazione, un po' come nei quadri di Caravaggio, dove la luce non ha sfumature, è netta, è simbolica, metaforica.
Quante cose può fare la luce, dunque!
Può fornire la corretta illuminazione per le funzioni di un determinato ambiente, ma può anche suscitare emozioni, può determinare l’ordine che diamo alle cose che vediamo, può addirittura raccontare una storia.
Il lighting designer progetta l’illuminazione tecnicamente corretta per gli ambienti a cui lavora.
Il lighting lover, invece, non si limita all’aspetto progettuale, ma vede la luce ovunque, si lascia ispirare dall’illuminazione che è in tutto. E che nel cinema, spesso, trova la sua massima espressione.
E quando vede la scena del triciclo in Shining, per prima cosa, vede la luce.
In copertina: The Shining, Stanley Kubrick, 1980.
DI OGNUNO
Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.
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Sono un architetto appassionato di luce, la passione si è trasformata in professione strada facendo. Inizialmente la questione illuminotecnica era "solo" uno degli aspetti da affrontare nei miei progetti, col tempo è diventata l'aspetto più importante. Ora la professione si è fusa con la passione e sono diventato un “lighting lover”.