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La metamorfosi degli spazi urbani
7/11/2018
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Negli spazi ibridi di Lombardini22 si è svolta la quinta ed ultima tappa di “Conscious Cities 2018”, il Festival londinese che in forma di conferenza multidisciplinare affronta il grande tema della progettazione del nostro ambiente costruito focalizzando l’attenzione sul benessere, la consapevolezza e la reattività positiva delle persone destinate ad abitarlo.

Partendo dall'analisi dei dati, dall'intelligenza artificiale, dalla tecnologia e dalle scienze cognitive applicate al design, Conscious Cities è un nuovo campo di ricerca teorica e pratica nato nel 2015 dopo la pubblicazione sul Guardian dell’articolo "Un manifesto per le città coscienti", firmato dall'architetto Itai Palti e dal neuroscienziato Prof. Moshe Bar.

Al suo network globale con sedi a Londra, New York e Melbourne, oggi si aggiunge Milano, e non è casuale che ciò avvenga nello spazio multidisciplinare di Lombardini22. La nostra è infatti la società di progettazione italiana che per prima ha introdotto il dibattito sul rapporto tra neuroscienze e progettazione architettonica in Italia: promuovendo nel 2013 il progetto culturale “Empatia degli Spazi”; sviluppando, nel 2016 con la direzione di Davide Ruzzon, il progetto TUNED e continuando oggi un percorso di ricerca attivo e operoso. Dopo le quattro precedenti conferenze londinesi, focalizzate sui temi dell’architettura, dell’urbanistica, della tecnologia e delle scienze del comportamento, il 26 ottobre a Milano si è affrontato il tema “Property”, esplorando il rapporto tra approccio neurocognitivo alla progettazione, profitto finanziario e utilità sociale.

Introdotti da Franco Guidi – Ad e Partner Lombardini22 – e moderati da Davide Ruzzon – Responsabile Scientifico di TUNED e Direttore Scientifico del Master “NAAD - Neuroscience Applied to Architectural Design” presso l’Università Iuav di Venezia (il primo Master nel mondo dedicato interamente alle Neuroscienze applicate alla progettazione architettonica) – gli ospiti presenti hanno formato un panel davvero ricco i cui contenuti hanno potuto spaziare dalla finanza sostenibile alla psicologia urbana, dalle ricerche sull’impatto neurologico degli ambienti architettonici alla mappatura del disagio psichico nella città moderna, fino alle politiche pubbliche di resilienza urbana portate avanti a Milano.

Un tema incredibilmente vasto, che è stato approfondito da ciascun ospite attraverso una delle domande cruciali che caratterizza il dibattito in corso, in modo diretto e pragmatico.

Quale rapporto tra la psicologia ambientale e il real estate?

Alice Hollenstein, Deputy Manager presso il Center for Urban & Real Estate Management all’Università di Zurigo e fondatrice dell’organizzazione Urban Psychology Consulting & Research, esplora le ragioni reali per cui lo sviluppo immobiliare si traduce troppo spesso in cortine omogenee che “impoveriscono” il vissuto percettivo della città, e come trovare soluzioni appropriate diffondendo conoscenza, mostrando i benefici economici e promuovendo incentivi e regole più “sagge”.  

Come sintonizzare l’esperienza emotiva con i diversi ambiti del nostro ambiente artificiale?

Davide Ruzzon si sofferma sui meccanismi mentali che vengono innescati da un ambiente architettonico progettato secondo un approccio neurocognitivo: la capacità di soddisfare determinate attese emozionali (non riducibili al semplice benessere), il raggiungimento di un equilibrio omeostatico – fisiologico e mentale – e la formazione di un “fondale” che incentivi le relazioni.

Tradurre in architettura questo assunto significa agire progettualmente su alcuni elementi fondamentali: la luce naturale, la vegetazione, la dinamica dello spazio; e poi il colore, i materiali, la geometria, la topologia, il suono, gli odori. Tutti elementi da non considerare separatamente ma come insieme di relazioni: è la dimensione implicita del nostro rapporto con lo spazio (ancora troppo trascurata).

Possiamo misurare questi valori?

15% di assenteismo in meno sul posto di lavoro, riduzione significativa dei tempi di ricovero e della quantità di medicinali somministrati per i pazienti in ospedale (è stato statisticamente provato l’impatto di fattori come l’orientamento delle camere e la disponibilità di luce naturale), aumento nella velocità di apprendimento (fino al 20%!) negli istituti scolastici. Numeri che si riflettono vistosamente nel settore pubblico e privato, e che ci fanno giungere a una conclusione: incrementare il coinvolgimento emozionale degli utenti ha enormi vantaggi economici, oltre che sociali. Ma questo riferimento è solo il pretesto da cui parte una domanda critica dal pubblico:

“Perché, dato che da oltre 40 anni sappiamo queste cose, permane uno scollamento tra i dati emersi dalle ricerche e la loro applicazione pratica, e continuiamo a produrre ‘spazi stagnanti’…?”

Risponde Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile: “Perchè non si cambia? C’è un problema di staticità, di lentezza a cambiare i modelli e i paradigmi di riferimento”.

Il punto centrale dell’intervento di Bicciato è la necessità che i criteri ESG (Environmental, Social and Governance) richiesti da un modello di finanza sostenibile si integrino con quelli economico-finanziari: il fattore della redditività - seppur subordinato ad un’attenta valutazione dell’impatto sociale ed ambientale - rimane essenziale. Bicciato ci regala una prospettiva più che positiva, che viene direttamente dalla Comunione Europea: l’8 marzo 2018 la Commissione europea ha promulgato il primo Action Plan sulla finanza sostenibile, un piano d’azione che riguarda tutto il mondo finanziario. La novità è che non si tradurrà in direttive (soggette alle interpretazioni dei singoli paesi con leggi ordinarie) ma, per la prima volta, in regolamenti: ovvero, nuove regole sugli investimenti immobiliari da rispettare non nello spirito ma nella lettera. Il quadro di riferimento sembra destinato a mutare con una decisiva accelerazione: il cambiamento di modello e paradigma potrà trovare meno inerzia e staticità sul suo cammino.

Quali fattori producono disagio mentale nelle città?

L’intervento di Giuseppe Roma, Presidente RUR (Urban Research Institute) e Professore di Urban Management, pone questioni meno lineari sul rapporto tra fenomeni di disagio (mentale, ambientale ecc.) e spazio:

“Se consideriamo la città solo come luogo costruito definito dai confini del suo spazio fisico non cogliamo il problema. Oggi la condizione urbana è determinata dall’informazione, dalla mobilità e dalla capacità di integrare. Per capire in che modo l’organizzazione urbana produca effetti negativi, di disagio mentale e ambientale, e come l’estensione di tali effetti metta a rischio anche i valori immobiliari, questi tre elementi ci possono guidare per interpretare le città europee e i loro effetti sulle persone”.

L’intervento di Roma è incentrato sulla diffusione di questi fenomeni in termini statistici, come caratterizzano l’Italia – con le differenze che riguardano i centri grandi e piccoli - e la nostra posizione rispetto al resto d’Europa quando si parla di depressione, malattia cronica e diseguaglianza economica, povertà.

A cosa ispirarsi?

È un tema che non ha strumenti ben definiti. Ma in Italia abbiamo un modello di eccellenza: le piccole e medie città che funzionano meglio al mondo. Un modello i cui caratteri sono la tradizione storica, la creazione di business diversificati attraverso relazioni comunitarie, il “rallentamento” come valore e stile di vita (un esempio è l’Impresa umanistica di Brunello Cucinelli a Solomeo).

Come applicare il modello dei piccoli e medi centri ai grandi insediamenti metropolitani? È un’ipotesi politica, prima che economica. Forse Barcellona ci sta provando: parcellizzando la città sui 55 mercati rionali che la compongono, facendone i fuochi intorno ai quali costruire un ambiente comunitario e di aggregazione, ma coinvolgendo tutta la città strutturalmente. Il che è molto diverso da un modello di rigenerazione urbana per punti discontinui, sperando che da essi gli effetti si propaghino alla città intera.

Come si posiziona Milano in tutto questo?

È noto che Milano stia vivendo un buon momento. Da Expo 2015 ha continuato un percorso di rilievo internazionale e si è dotata di nuovi strumenti per agire al meglio a livello locale: bilancio partecipativo, percorso di ascolto sulla revisione del PGT, dibattito pubblico sulla riapertura dei navigli ecc.

Si è anche dotata, Milano, di un nuovo ufficio dedicato alla resilienza urbana, afferente a 100 resilient cities. Sotto la guida di Piero Pelizzaro, Chief Resilience Officer del Comune, il tema della resilienza e la strategia dell’ufficio poggia su tre macro aree: infrastrutture, processi-spazi, comunità, e verrà presentata a inizio 2019.

Nel frattempo il quadro delle trasformazioni in programma comprende: un piano di riforestazione urbana con 3 milioni di nuovi alberi piantumati di qui al 2030 (che deve affrontare per il momento due ordini di problemi: risorse economiche e identificazione delle aree, dove per quest’ultimo è previsto un ruolo attivo della cittadinanza); un focus particolare sulle periferie in un’ottica multi-layer (alloggi, disuguaglianza, servizi, formazione…); programmi legati alla manifattura (fablab, makespace ecc…); sperimentazioni di tactical urbanism (con due interventi realizzati in due piazze milanesi: Dergano e Angilberto) e altro ancora.

Il tutto con la consapevolezza che i tempi di ogni trasformazione si scontrano necessariamente con un disallineamento tra velocità diverse: quella della società (più veloce e puntuale), quella dei tempi dell’urbanistica (più lenta), quella delle istituzioni (spesso ancora più lente nel recepire le questioni e adeguare le procedure).

Un percorso di grande intensità e che si colloca perfettamente in chiusura di Conscious Cities 2018: un evento che ha approfon­dito il grande potenziale di un trend tuttora poco esplorato, con un divario ancora sostanziale tra richiesta degli utenti e offerta istituzionale e di mercato. Un trend che però è in crescita, poiché rispondere con cura alle articolate richieste emotive di chi vive gli ambienti è un investimento proficuo per tutte le parti in gioco, proprietari di immobili, utenti, developers, pubblica amministrazione.

Scarica qui il Position Paper in formato PDF dell'evento.

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November 7, 2018
Attualità
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November 7, 2018

Progettiamo le città del futuro

Negli spazi ibridi di Lombardini22 si è svolta la quinta ed ultima tappa di “Conscious Cities 2018”, il Festival londinese che in forma di conferenza multidisciplinare affronta il grande tema della progettazione del nostro ambiente costruito focalizzando l’attenzione sul benessere, la consapevolezza e la reattività positiva delle persone destinate ad abitarlo.

Partendo dall'analisi dei dati, dall'intelligenza artificiale, dalla tecnologia e dalle scienze cognitive applicate al design, Conscious Cities è un nuovo campo di ricerca teorica e pratica nato nel 2015 dopo la pubblicazione sul Guardian dell’articolo "Un manifesto per le città coscienti", firmato dall'architetto Itai Palti e dal neuroscienziato Prof. Moshe Bar.

Al suo network globale con sedi a Londra, New York e Melbourne, oggi si aggiunge Milano, e non è casuale che ciò avvenga nello spazio multidisciplinare di Lombardini22. La nostra è infatti la società di progettazione italiana che per prima ha introdotto il dibattito sul rapporto tra neuroscienze e progettazione architettonica in Italia: promuovendo nel 2013 il progetto culturale “Empatia degli Spazi”; sviluppando, nel 2016 con la direzione di Davide Ruzzon, il progetto TUNED e continuando oggi un percorso di ricerca attivo e operoso. Dopo le quattro precedenti conferenze londinesi, focalizzate sui temi dell’architettura, dell’urbanistica, della tecnologia e delle scienze del comportamento, il 26 ottobre a Milano si è affrontato il tema “Property”, esplorando il rapporto tra approccio neurocognitivo alla progettazione, profitto finanziario e utilità sociale.

Introdotti da Franco Guidi – Ad e Partner Lombardini22 – e moderati da Davide Ruzzon – Responsabile Scientifico di TUNED e Direttore Scientifico del Master “NAAD - Neuroscience Applied to Architectural Design” presso l’Università Iuav di Venezia (il primo Master nel mondo dedicato interamente alle Neuroscienze applicate alla progettazione architettonica) – gli ospiti presenti hanno formato un panel davvero ricco i cui contenuti hanno potuto spaziare dalla finanza sostenibile alla psicologia urbana, dalle ricerche sull’impatto neurologico degli ambienti architettonici alla mappatura del disagio psichico nella città moderna, fino alle politiche pubbliche di resilienza urbana portate avanti a Milano.

Un tema incredibilmente vasto, che è stato approfondito da ciascun ospite attraverso una delle domande cruciali che caratterizza il dibattito in corso, in modo diretto e pragmatico.

Quale rapporto tra la psicologia ambientale e il real estate?

Alice Hollenstein, Deputy Manager presso il Center for Urban & Real Estate Management all’Università di Zurigo e fondatrice dell’organizzazione Urban Psychology Consulting & Research, esplora le ragioni reali per cui lo sviluppo immobiliare si traduce troppo spesso in cortine omogenee che “impoveriscono” il vissuto percettivo della città, e come trovare soluzioni appropriate diffondendo conoscenza, mostrando i benefici economici e promuovendo incentivi e regole più “sagge”.  

Come sintonizzare l’esperienza emotiva con i diversi ambiti del nostro ambiente artificiale?

Davide Ruzzon si sofferma sui meccanismi mentali che vengono innescati da un ambiente architettonico progettato secondo un approccio neurocognitivo: la capacità di soddisfare determinate attese emozionali (non riducibili al semplice benessere), il raggiungimento di un equilibrio omeostatico – fisiologico e mentale – e la formazione di un “fondale” che incentivi le relazioni.

Tradurre in architettura questo assunto significa agire progettualmente su alcuni elementi fondamentali: la luce naturale, la vegetazione, la dinamica dello spazio; e poi il colore, i materiali, la geometria, la topologia, il suono, gli odori. Tutti elementi da non considerare separatamente ma come insieme di relazioni: è la dimensione implicita del nostro rapporto con lo spazio (ancora troppo trascurata).

Possiamo misurare questi valori?

15% di assenteismo in meno sul posto di lavoro, riduzione significativa dei tempi di ricovero e della quantità di medicinali somministrati per i pazienti in ospedale (è stato statisticamente provato l’impatto di fattori come l’orientamento delle camere e la disponibilità di luce naturale), aumento nella velocità di apprendimento (fino al 20%!) negli istituti scolastici. Numeri che si riflettono vistosamente nel settore pubblico e privato, e che ci fanno giungere a una conclusione: incrementare il coinvolgimento emozionale degli utenti ha enormi vantaggi economici, oltre che sociali. Ma questo riferimento è solo il pretesto da cui parte una domanda critica dal pubblico:

“Perché, dato che da oltre 40 anni sappiamo queste cose, permane uno scollamento tra i dati emersi dalle ricerche e la loro applicazione pratica, e continuiamo a produrre ‘spazi stagnanti’…?”

Risponde Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile: “Perchè non si cambia? C’è un problema di staticità, di lentezza a cambiare i modelli e i paradigmi di riferimento”.

Il punto centrale dell’intervento di Bicciato è la necessità che i criteri ESG (Environmental, Social and Governance) richiesti da un modello di finanza sostenibile si integrino con quelli economico-finanziari: il fattore della redditività - seppur subordinato ad un’attenta valutazione dell’impatto sociale ed ambientale - rimane essenziale. Bicciato ci regala una prospettiva più che positiva, che viene direttamente dalla Comunione Europea: l’8 marzo 2018 la Commissione europea ha promulgato il primo Action Plan sulla finanza sostenibile, un piano d’azione che riguarda tutto il mondo finanziario. La novità è che non si tradurrà in direttive (soggette alle interpretazioni dei singoli paesi con leggi ordinarie) ma, per la prima volta, in regolamenti: ovvero, nuove regole sugli investimenti immobiliari da rispettare non nello spirito ma nella lettera. Il quadro di riferimento sembra destinato a mutare con una decisiva accelerazione: il cambiamento di modello e paradigma potrà trovare meno inerzia e staticità sul suo cammino.

Quali fattori producono disagio mentale nelle città?

L’intervento di Giuseppe Roma, Presidente RUR (Urban Research Institute) e Professore di Urban Management, pone questioni meno lineari sul rapporto tra fenomeni di disagio (mentale, ambientale ecc.) e spazio:

“Se consideriamo la città solo come luogo costruito definito dai confini del suo spazio fisico non cogliamo il problema. Oggi la condizione urbana è determinata dall’informazione, dalla mobilità e dalla capacità di integrare. Per capire in che modo l’organizzazione urbana produca effetti negativi, di disagio mentale e ambientale, e come l’estensione di tali effetti metta a rischio anche i valori immobiliari, questi tre elementi ci possono guidare per interpretare le città europee e i loro effetti sulle persone”.

L’intervento di Roma è incentrato sulla diffusione di questi fenomeni in termini statistici, come caratterizzano l’Italia – con le differenze che riguardano i centri grandi e piccoli - e la nostra posizione rispetto al resto d’Europa quando si parla di depressione, malattia cronica e diseguaglianza economica, povertà.

A cosa ispirarsi?

È un tema che non ha strumenti ben definiti. Ma in Italia abbiamo un modello di eccellenza: le piccole e medie città che funzionano meglio al mondo. Un modello i cui caratteri sono la tradizione storica, la creazione di business diversificati attraverso relazioni comunitarie, il “rallentamento” come valore e stile di vita (un esempio è l’Impresa umanistica di Brunello Cucinelli a Solomeo).

Come applicare il modello dei piccoli e medi centri ai grandi insediamenti metropolitani? È un’ipotesi politica, prima che economica. Forse Barcellona ci sta provando: parcellizzando la città sui 55 mercati rionali che la compongono, facendone i fuochi intorno ai quali costruire un ambiente comunitario e di aggregazione, ma coinvolgendo tutta la città strutturalmente. Il che è molto diverso da un modello di rigenerazione urbana per punti discontinui, sperando che da essi gli effetti si propaghino alla città intera.

Come si posiziona Milano in tutto questo?

È noto che Milano stia vivendo un buon momento. Da Expo 2015 ha continuato un percorso di rilievo internazionale e si è dotata di nuovi strumenti per agire al meglio a livello locale: bilancio partecipativo, percorso di ascolto sulla revisione del PGT, dibattito pubblico sulla riapertura dei navigli ecc.

Si è anche dotata, Milano, di un nuovo ufficio dedicato alla resilienza urbana, afferente a 100 resilient cities. Sotto la guida di Piero Pelizzaro, Chief Resilience Officer del Comune, il tema della resilienza e la strategia dell’ufficio poggia su tre macro aree: infrastrutture, processi-spazi, comunità, e verrà presentata a inizio 2019.

Nel frattempo il quadro delle trasformazioni in programma comprende: un piano di riforestazione urbana con 3 milioni di nuovi alberi piantumati di qui al 2030 (che deve affrontare per il momento due ordini di problemi: risorse economiche e identificazione delle aree, dove per quest’ultimo è previsto un ruolo attivo della cittadinanza); un focus particolare sulle periferie in un’ottica multi-layer (alloggi, disuguaglianza, servizi, formazione…); programmi legati alla manifattura (fablab, makespace ecc…); sperimentazioni di tactical urbanism (con due interventi realizzati in due piazze milanesi: Dergano e Angilberto) e altro ancora.

Il tutto con la consapevolezza che i tempi di ogni trasformazione si scontrano necessariamente con un disallineamento tra velocità diverse: quella della società (più veloce e puntuale), quella dei tempi dell’urbanistica (più lenta), quella delle istituzioni (spesso ancora più lente nel recepire le questioni e adeguare le procedure).

Un percorso di grande intensità e che si colloca perfettamente in chiusura di Conscious Cities 2018: un evento che ha approfon­dito il grande potenziale di un trend tuttora poco esplorato, con un divario ancora sostanziale tra richiesta degli utenti e offerta istituzionale e di mercato. Un trend che però è in crescita, poiché rispondere con cura alle articolate richieste emotive di chi vive gli ambienti è un investimento proficuo per tutte le parti in gioco, proprietari di immobili, utenti, developers, pubblica amministrazione.

Scarica qui il Position Paper in formato PDF dell'evento.

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November 7, 2018
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