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Una nuova ipersensibilità

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Come vivremo il coworking e lo sharing?
16/4/2020
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Dove gli avvicendamenti degli user sono più frequenti e meno “tracciabili” rispetto a uffici più tradizionali dalla popolazione più stabile e omogenea, l’incertezza è forse più acuta e più eterogenee le politiche di contenimento spaziale.

A meno di non chiudere gli spazi del tutto (il che sta poi avvenendo). Tuttavia la varietà dei business condivisi che caratterizza i Coworking può comprendere servizi essenziali (sanitari, di supporto finanziario ecc.) cui assicurare continuità in questo momento: e su questo si basano giganti come WeWork che, con le sue 848 sedi in tutto il mondo di cui più di 300 negli Stati Uniti, sembra mantenere aperti i suoi edifici. Ma in spazi il cui uso è tendenzialmente “deterritorializzato”, con occupazioni fluide e non assegnate, secondo una mobilità potenziale che alimenta la percezione del rischio nonostante le rassicurazioni sulle misure adottate.

Misure che ovunque (più o meno) significano distanziamento sociale. Così i player consolidati (Copernico, Talent Garden ecc.) applicano limitazioni d’accesso alle sale riunioni, sospensione degli hotdesk e delle postazioni di gruppo, cancellazione degli eventi comunitari (o loro trasformazione da “reali” a virtuali), piani straordinari di igienizzazione giornaliera .

Forme obbligate di resistenza per limitare l’impatto dell’emergenza, ma anche misure che rappresentano il dissolvimento di ciò che costituisce il DNA operativo e identitario di questi luoghi.

Così anche qui la domanda (sempre retorica) diventa: il coronavirus segna la fine del Coworking e dei luoghi di relazione? Se la dimensione relazionale è qualcosa di culturale, intangibile, non esclusivamente riconducibile a uno spazio fisico, ovviamente no: Il lavoro si può fare in modo diverso, lontano dall’ufficio, a casa o nei Coworking e così via, cioè su tutti i canali possibili (da cui l’OmniChannel Workplace).

Dobbiamo però chiederci: ci sarà un cambiamento nella dimensione simbolica di questi luoghi, nelle loro “regole d’ingaggio”, e anche nel senso delle parole con cui li connotiamo? Avrà ancora lo stesso significato parlare di Hub, spazi per la cross-fertilization, “quantità di relazioni generate per mq”…?

Sharing economy…?

Come la brusca interruzione di condivisioni fisiche impatta su quella sharing economy che mette in rete asset tangibili, come case e automobli?

Una delle attività più negativamente esposte al Covid-19, nel settore immobiliare, è il sistema delle locazioni brevi (secondo Engel & Völkers): perdita prevista del 40%, evidenti riduzioni degli arrivi, disdette, minore accesso ai finanziamenti bancari e, come “seconda ondata” di rallentamento economico, riduzione della capacità reddituale di alcuni acquirenti, un effetto indiretto ancora più pericoloso in termini di impatto (Luca Dondi, direttore generale di Nomisma).

Simile l’effetto sui servizi di car sharing, simbolo dell’attuale e futura mobilità urbana. E se qui il blocco della mobilità è la causa più immediata e contingente, il problema vero, e di più lunga durata, è percettivo.

Dovremo fare i conti, in prospettiva, con una nuova ipersensibilità agli abitacoli condivisi, alle superfici di contatto, alle plastiche e ai metalli? Svilupperemo rituali sempre più ossessivi della salute e dell’igiene?

Intanto, in questo periodo incerto e in rapida evoluzione, piattaforme come Airbnb rendono flessibili le “circostanze attenuanti”, aggiornano le politiche antidiscriminatorie, individuano nuovi parametri di sicurezza, suggeriscono agli host di porre domande “sensibili”.

Ma anche – importante novità – aderiscono a una nuova trasparenza dei dati: rendono disponibili alle amministrazioni di tutta Europa i loro numeri (di notti prenotate, ospiti accolti).

Uno strumento fondamentale, per le amministrazioni pubbliche, per comprendere a fondo lo sviluppo del settore e studiare politiche concrete (ovvero: politiche per la casa, per esempio, anche a riequilibrio dell’offerta residenziale). Mentre gli operatori di car sharing si affrettano ad attivare misure eccezionali di sanificazione (Share Now), o introdurre nuovi modelli di servizio: “Un’auto sanificata, elettrica, con gel disinfettante a bordo, ad uso personale e dedicato…”, non più costi al minuto ma forme di abbonamento mensile (Sharengo).

Uno shift dall’istantaneo al programmato, dal confidente al circospetto?

Scarica il Position Paper in formato PDF

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April 16, 2020
Attualità
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April 16, 2020

Una nuova ipersensibilità

Dove gli avvicendamenti degli user sono più frequenti e meno “tracciabili” rispetto a uffici più tradizionali dalla popolazione più stabile e omogenea, l’incertezza è forse più acuta e più eterogenee le politiche di contenimento spaziale.

A meno di non chiudere gli spazi del tutto (il che sta poi avvenendo). Tuttavia la varietà dei business condivisi che caratterizza i Coworking può comprendere servizi essenziali (sanitari, di supporto finanziario ecc.) cui assicurare continuità in questo momento: e su questo si basano giganti come WeWork che, con le sue 848 sedi in tutto il mondo di cui più di 300 negli Stati Uniti, sembra mantenere aperti i suoi edifici. Ma in spazi il cui uso è tendenzialmente “deterritorializzato”, con occupazioni fluide e non assegnate, secondo una mobilità potenziale che alimenta la percezione del rischio nonostante le rassicurazioni sulle misure adottate.

Misure che ovunque (più o meno) significano distanziamento sociale. Così i player consolidati (Copernico, Talent Garden ecc.) applicano limitazioni d’accesso alle sale riunioni, sospensione degli hotdesk e delle postazioni di gruppo, cancellazione degli eventi comunitari (o loro trasformazione da “reali” a virtuali), piani straordinari di igienizzazione giornaliera .

Forme obbligate di resistenza per limitare l’impatto dell’emergenza, ma anche misure che rappresentano il dissolvimento di ciò che costituisce il DNA operativo e identitario di questi luoghi.

Così anche qui la domanda (sempre retorica) diventa: il coronavirus segna la fine del Coworking e dei luoghi di relazione? Se la dimensione relazionale è qualcosa di culturale, intangibile, non esclusivamente riconducibile a uno spazio fisico, ovviamente no: Il lavoro si può fare in modo diverso, lontano dall’ufficio, a casa o nei Coworking e così via, cioè su tutti i canali possibili (da cui l’OmniChannel Workplace).

Dobbiamo però chiederci: ci sarà un cambiamento nella dimensione simbolica di questi luoghi, nelle loro “regole d’ingaggio”, e anche nel senso delle parole con cui li connotiamo? Avrà ancora lo stesso significato parlare di Hub, spazi per la cross-fertilization, “quantità di relazioni generate per mq”…?

Sharing economy…?

Come la brusca interruzione di condivisioni fisiche impatta su quella sharing economy che mette in rete asset tangibili, come case e automobli?

Una delle attività più negativamente esposte al Covid-19, nel settore immobiliare, è il sistema delle locazioni brevi (secondo Engel & Völkers): perdita prevista del 40%, evidenti riduzioni degli arrivi, disdette, minore accesso ai finanziamenti bancari e, come “seconda ondata” di rallentamento economico, riduzione della capacità reddituale di alcuni acquirenti, un effetto indiretto ancora più pericoloso in termini di impatto (Luca Dondi, direttore generale di Nomisma).

Simile l’effetto sui servizi di car sharing, simbolo dell’attuale e futura mobilità urbana. E se qui il blocco della mobilità è la causa più immediata e contingente, il problema vero, e di più lunga durata, è percettivo.

Dovremo fare i conti, in prospettiva, con una nuova ipersensibilità agli abitacoli condivisi, alle superfici di contatto, alle plastiche e ai metalli? Svilupperemo rituali sempre più ossessivi della salute e dell’igiene?

Intanto, in questo periodo incerto e in rapida evoluzione, piattaforme come Airbnb rendono flessibili le “circostanze attenuanti”, aggiornano le politiche antidiscriminatorie, individuano nuovi parametri di sicurezza, suggeriscono agli host di porre domande “sensibili”.

Ma anche – importante novità – aderiscono a una nuova trasparenza dei dati: rendono disponibili alle amministrazioni di tutta Europa i loro numeri (di notti prenotate, ospiti accolti).

Uno strumento fondamentale, per le amministrazioni pubbliche, per comprendere a fondo lo sviluppo del settore e studiare politiche concrete (ovvero: politiche per la casa, per esempio, anche a riequilibrio dell’offerta residenziale). Mentre gli operatori di car sharing si affrettano ad attivare misure eccezionali di sanificazione (Share Now), o introdurre nuovi modelli di servizio: “Un’auto sanificata, elettrica, con gel disinfettante a bordo, ad uso personale e dedicato…”, non più costi al minuto ma forme di abbonamento mensile (Sharengo).

Uno shift dall’istantaneo al programmato, dal confidente al circospetto?

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