Reinventing Fairs
Data Centers of the future are here
Le fiere nascono come luoghi di scambio e soprattutto di relazione, luoghi dove possono succedere cose che non avvengono altrove.
Convegni abituali di venditori e compratori, le fiere accentrano, in un’unità di tempo e di luogo, la più completa e diversificata espressione della cultura materiale in forma di commercio in un dato momento storico.
Il loro valore è sempre stato tale per cui, nell’ambito della loro durata e nei loro confini, già dal Medioevo si trattava di proteggerne gli spazi, conferendo loro libertà e privilegi speciali, con particolari diritti economici e anche giuridici: asilo e ospitalità, esenzione o attenuazione di dazi, sospensione di diritti di rappresaglia e ritorsione, liberazione da arresti per cause precedenti, diritto di battere moneta e perfino di organizzare giochi proibiti… (Treccani).
Ma le fiere non sono sempre state uguali a se stesse.
Ed è interessante notare che le prime esposizioni industriali, che diedero avvio alle fiere moderne, si svilupparono contemporaneamente a un declino delle fiere tradizionali iniziato nel Settecento e accentuato nel XIX secolo cui risposero con finalità del tutto diverse dalle fiere stesse: mirando, cioè, “oltre che a scopi mercantili, a fini educativi, istruttivi…” (ancora Treccani).
A cosa era dovuto quel declino?
“Il miglioramento e l’estensione dei mezzi di comunicazione, la facilità di diffondere notizie, l’accresciuto spirito d'iniziativa personale, i nuovi metodi di organizzazione industriale e mercantile, furono le principali ragioni di decadenza delle fiere che vennero persino considerate indice di un’economia sorpassata” (daTreccani).
Ora sarebbe fin troppo facile dire: figuriamoci con l’avvento del digitale!, facendo così un “great leap forward” nel tempo e arrivando all’oggi. Nel pieno di un’apoteosi dell’informazione e della comunicazione, mai come ora le fiere devono ripensarsi: alcune sono di fatto scomparse, altre sono in crisi da tempo, altre ancora stanno benissimo e proprio per questo potrebbero strategicamente interrogarsi sulle possibili, e inedite, modalità per esprimere al meglio quella complessità e stratificazione d’intenti che non coincide più con il solo prodotto o la pura dimensione commerciale, ma anche e soprattutto con la qualità dell’esperienza offerta ai visitatori e con la garanzia di visibilità per gli espositori.
Come reinventare, allora, un altro modello di fiera?
Come progettisti possiamo partire dallo spazio.
Spazi di Ascolto
Oggi la composizione dei portatori d’interesse in una fiera, i cosiddetti stakeholder, è molto complessa. Rimane ovviamente il rapporto espositore/compratore come “core business”, ma questo è parte di un sistema sempre più arricchito di operatori e segmenti di pubblico eterogenei, che vanno intercettati con un’offerta altrettanto differenziata. Comporre quell’offerta significa mettersi in ascolto di tutti gli attori a vario titolo coinvolti, comprenderne le esigenze, interpretarle in nuovi possibili format, e dare loro spazio.
Spazi di Attrazione
Come configurare spazi adeguati ai diversi livelli di fruizione che un format complesso richiede?
Compito dei progettisti è fare in modo che lo spazio sia un fattore abilitante, che permetta non solo di far succedere avvenimenti speciali che abbiano luogo in fiera e non altrove, ma di dare a tutte le componenti del sistema la massima opportunità di partecipazione e visibilità.
Sempre in termini spaziali, ciò potrebbe richiedere di superare ordini consolidati: una possibilità (che abbiamo potuto testare con Euroluce 2023) è andare oltre la griglia ortogonale – lo schema più diffuso nelle fiere, uniforme, razionale e dai molteplici vantaggi, ma anche faticoso e dispersivo – a favore di un sistema di percorsi più fluidi, orchestrati con una serie di attrattori in grado di magnetizzare i flussi e irrorare tutto il tracciato, indirizzando e ottimizzando l’attenzione dei visitatori. Ma una ricetta univoca non esiste e altre risposte possono arrivare dall’ascolto dei singoli contesti.
Spazi di Orientamento
Un diverso modello di spazio fieristico implicherebbe un diverso sistema di navigazione, non più basato su coordinate cartesiane ma su tracciati analogici, dove i punti di riferimento sono di tipo visivo e non alfanumerico. Un modello che prevede aree a diverse densità e velocità, dilatazioni e restringimenti dei percorsi, piazze, luoghi di sosta e di quiete, spazi d’incontro aperti anche all’inaspettato. Tutto ciò da pianificare in modo non gerarchico, affinché l’affaccio di ogni espositore sia sempre sulla main street, dando certezza di passaggio e visibilità in qualsiasi punto sia collocato. A questo scopo è anche importante un efficace progetto di wayfinding, studiato caso per caso per rendere il più possibile immediato l’orientamento dei visitatori.
Spazi di Accoglienza e Inclusione
A corollario dei punti precedenti, questo spazio fieristico potrebbe essere tanto più attrattivo quanto più centrato sull’esperienza del visitatore oltre che sulla presenza degli stand espositivi, i quali sono di fatto a servizio del pubblico. Ma proprio da questo traggono beneficio, perché l’espositore può capitalizzare gli effetti di un maggior livello di attenzione e disponibilità da parte dei visitatori, cui è richiesto un minore sforzo cognitivo grazie a un ambiente orientato in modo più semplice e intuitivo, e un minor impegno fisico, dovuto a un’urbanistica più fluida che permette meno scelte di percorso e tragitti complessivamente più brevi, nonché maggiori livelli di comfort e accessibilità.
Spazi di Stupore Istruttivo
Qualsiasi forma rimarrebbe una scatola vuota, o meglio, il suo valore sarebbe solo potenziale, se non fosse resa effettivamente vitale da contenuti attraenti, se non addirittura sorprendenti: contenuti commerciali e di prodotto, certo, ma anche approfondimenti culturali su temi attuali o emergenti. È consuetudine che le fiere contemporanee affianchino alle proposte degli espositori mostre o cicli di conferenze. Tuttavia si fa spesso affidamento su un’unica, o prevalente, interpretazione d’autore, e può essere una scommessa rischiosa. È possibile pensare, secondo un principio di diversificazione dell’investimento, a un’offerta più capillare ed eterogenea, anche trasversale rispetto al mondo merceologico esposto, e con varie scale d’intervento?
L’obiettivo sarebbe coinvolgere differenti strati di pubblico a diversi livelli di impegno intellettuale, ma anche tecnico-professionale, e soprattutto con diversi tempi di attenzione richiesti: dall’istantaneo alla contemplazione prolungata.
Un simile modello potrebbe riservare sorprese a ogni angolo, arricchendo l’esperienza di visita e alimentando l’attrattività della manifestazione.
Spazi Tattili (e gustativi, olfattivi ecc…)
In altre parole, spazi sensoriali ed emotivi. Poiché l’elemento fondamentale della fiera, rispetto alla pura informazione di prodotto (che potrebbe tranquillamente compiersi nella dimensione digitale), è la sua concreta fisicità: la possibilità di toccare con mano, di assaporare materie e ingredienti, di annusare l’aria che tira, di assorbire atmosfere sonore e visive… La scommessa è far sì che ciò avvenga a un livello non riproducibile altrove con la stessa intensità, diversità e specificità a un tempo, e soprattutto con quella simultaneità di tempo e di luogo che solo in una fiera può accadere: esserci con il corpo, fare esperienza viva di un evento memorabile, avere una tremenda paura di perderlo!
Spazi per un’altra Partecipazione
Tutto ciò pone una sfida culturale che oggi le aziende sono chiamate a cogliere. Se le fiere sono in crisi, o mostrano sintomi di decadenza partecipativa, è questo attribuibile a un deficit di significato rispetto e alle dinamiche di mercato? Sono ancora da considerare indici di un’economia sorpassata?
E come possono riallinearsi al contesto attuale?
Se si tratta di ripensare e valorizzare una dimensione semantica delle fiere progressivamente trascurata, riportandole al centro delle necessità, questo passa anche attraverso una diversa attitudine con cui le aziende, che ne sono il cuore pulsante, alle fiere partecipano. Significa quali figure, presenti nei propri organigrammi o anche da “inventare”, vengono coinvolte e con quali regole di ingaggio, in un certo senso. Regole non necessariamente di carattere commerciale, ma orientate a rappresentare e comunicare valore del marchio, cultura d’impresa e di progetto e fare succedere cose a livello alto, anzi altissimo, il cui valore e successo non è misurabile in ricadute più o meno immediate sui fatturati. Senza mai trascurare, insomma, che l’economia è una scienza sociale e non matematica.
Fair and The City
La sperimentazione di Euroluce 2023
Quest’anno Lombardini22 è stata coinvolta dal Salone del Mobile di Milano nel concept strategico e nel layout urbanistico di Euroluce 2023, la manifestazione biennale che raccoglie gli operatori del settore illuminazione, ed è stata l’occasione di sperimentare un nuovo format che ha in un certo senso rivoluzionato il modo di intendere la fiera di settore.
Frutto di una progettazione partecipata durata oltre un anno – con le associazioni di categoria, i marchi principali e i progettisti specializzati, ma anche con un occhio attento a tutte le figure che compongono lo spettro d’interesse del mondo dell’illuminazione (dagli elettricisti agli studenti) – il progetto ha fatto proprio un dato specifico della città di Milano.
Nel rapporto tra fiera e città, tra il dentro e il fuori di una manifestazione fieristica, la Milano del Salone del Mobile è un caso esemplare, unico nella sua portata.
Al di là delle possibili letture di tale rapporto – dicotomia, complementarietà, sinergia – il progetto di Lombardini22 ha voluto portare la città in fiera, facendo di Euroluce una “City of Light” disegnata come un tessuto urbano dedicato alla luce.
La luce degli espositori, ovviamente, e nessun’altra. Ovvero, per valorizzare al meglio i prodotti e gli effetti d’illuminazione delle aziende, non si poteva che immergerli in un campo neutro che non producesse interferenze luminose, cioè nel buio: e si è oscurato tutto.
Singolare progetto di lighting design fatto di luci spente: che non solo si è rivelato efficace, ma ha generato un effetto per certi versi sorprendente nel creare, in una fiera!, un senso di soffusa intimità lungo le strade, mentre la messa in scena della luce diffusa da ogni singolo stand ha beneficiato di un’accresciuta attrattività.
Un altro aspetto centrale è l’analisi dei flussi.
Il layout e la geometria dello spazio hanno infatti preso forma anche da un accurato lavoro di modellazione e simulazione dei flussi, basato su teorie e tecniche affidabili come quelle sviluppate da Bill Hillier di Space Syntax, e sono stati progressivamente messi a punto al fine di prefigurare, sia fisicamente che percettivamente, un’equilibrata navigazione delle persone lungo i percorsi di visita.
Un progetto a tutti gli effetti data driven, interpretato e affinato anche da un punto di vista cognitivo grazie all’apporto delle neuroscienze applicate agli spazi architettonici (da molti anni campo di ricerca di Lombardini22).
Poi, come avviene in un vero tessuto urbano consolidato (che morfologicamente europeo), Euroluce si è costellata di accadimenti speciali che hanno contribuito a farne un irrinunciabile centro nevralgico della fiera. Su questa traccia urbanistica, infatti, il Salone si è preso la responsabilità – in quanto manifestazione più importante al mondo nel campo del design – di offrire non solo un servizio commerciale al pubblico e alle aziende ma di promuovere un ampio palinsesto di contenuti culturali, affidati a diversi autori e curatori sotto una regia scientifica aperta e multidisciplinare, disseminati nello spazio pubblico: piazze, zone d’incontro, librerie, installazioni, ristoranti, “chioschi” d’arte contemporanea, mostre vere e proprie, nonché spazi dedicati a workshop professionali che invitano le aziende a uscire dagli stand e a partecipare alla fiera come spazio comune in modo nuovo, aggiungendovi ulteriore significato.
È stato un successo? Poiché non sta a noi dirlo, citiamo le parole di Claudio Feltrin, Presidente di FederlegnoArredo:
“Quest’anno, lasciatemelo dire, al di là dei numeri e dell’evidente soddisfazione di tutti, il risultato di cui dobbiamo andare più fieri – aziende e Salone – è quello di aver fatto una scelta strategica vincente, pensando a Euroluce come a un modello di fiera innovativo e molto democratico, apprezzato da espositori e visitatori, a cui ci ispireremo non soltanto noi per l’appuntamento di aprile 2024, ma a cui, sono convinto, si ispireranno tutte le fiere del mondo. Ma nel mondo solo il Salone è Salone”.
Lusinghiero! Da parte nostra possiamo aggiungere – poiché da sempre siamo convinti che lo spazio non sia mai neutro – che il concept strategico e il layout urbanistico sviluppati da Lombardini22 abbiano creato le condizioni “a priori” affinché quel qualcosa di nuovo potesse fiorire.
Per concludere
Come progettisti, curatori, autori, abbiamo quindi una ricetta certa, ora, per il rinnovamento delle fiere? Ovviamente no.
La formula di Euroluce ha dato vita a un sofisticato progetto pilota, un progetto complesso e stratificato che, al di là della sua specificità merceologica, può dare davvero interessanti indicazioni per altri contesti e altre occasioni future.
Ma ogni format va sempre costruito e ritagliato su ogni singola manifestazione e sulle sue particolari necessità. Dunque non abbiamo ricette, ma sappiamo metterci in ascolto, e da ciò che ascoltiamo di volta in volta sappiamo sperimentare.
DI OGNUNO
Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.
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