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L'impatto sugli spazi di lavoro

Data Centers of the future are here

Dai Third Place agli OmniChannel Workplace
3/4/2020
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Lo spazio, nello Smart working, ha fatto leva su uffici sempre più collaborativi e integrati con la città, su luoghi di lavoro “activity based” e cioè calibrati sulle esigenze specifiche di differenziate attività e modalità lavorative, sull’espansione inarrestabile dei Coworking, nati dal basso da singoli professionisti e poi diventati vere e proprie imprese di esperienze di lavoro, su uffici On Demand gestiti da piattaforme online che dispongono di spazi di lavoro di qualsiasi genere e dimensione e per qualsiasi lasso di tempo, su luoghi eterogenei che si articolano fin negli interstizi urbani e alimentano un mixed use di interazioni sociali, intellettuali, commerciali, e quindi sul crescente fenomeno dei third place come luoghi sempre più coinvolti in attività che mescolano work e leisure.

Una costellazione di contenuti, quindi, che comprende anche i temi dello sharing, della condivisione e ibridazione di beni e servizi, dell’incoraggiamento a “collisioni casuali” e non programmate tra persone e business diversi (teorizzate come feconde e produttive), della mobilità interna ed esterna ai luoghi di lavoro.

+++

L’impatto del coronavirus su tutto ciò è dirompente: i third place, termine coniato dal sociologo americano Ray Oldenburg nel 1989 per definire i luoghi che non sono né casa né ufficio, sono temporaneamente congelati, mentre i first (le abitazioni) e i second (i luoghi di lavoro) si sono sovrapposti (o meglio i secondi si sono installati, armi e bagagli, nei primi). Negli Stati Uniti, allo stato attuale sono 817 (ma crescono ogni giorno) le società tecnologiche presenti nell’elenco di “stayinghome.club” – una sorta di albo del WFH (Work From Home) – perché hanno cambiato modo di lavorare a causa del Covid-19: di queste 443 impongono il lavoro da casa e 336 lo incoraggiano; le Università sono 53 e stanno attivando il remote teaching in 32.

In Italia, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2019 gli smart worker erano circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018. Oggi sono raddoppiati di colpo, anche triplicati in alcune realtà più attrezzate (per fare un esempio che ci riguarda, in Lombardini22 siamo passati da 80 a 270 persone in remoto su un totale di 300 professionisti).

Già il 2 febbraio Bloomberg descriveva questo fenomeno come “il più grande esperimento di telelavoro al mondo”, poiché è vero che nella grande maggioranza dei casi di telelavoro si tratta, più che di Smart working vero e proprio.

Tuttavia un boom a così grande scala, che è il dato più contingente che stiamo vivendo, è un acceleratore di processi di cambiamento che avrà un impatto a medio termine non solo sulla bipolarità semplice dell’opzione “casa/ufficio tradizionale” ma su tutta la più ampia gamma di possibilità che, secondo le parole di Chris Kane (Six Ideas), è definibile come “OmniChannel Workplace”, sollevando una serie di questioni e incertezze sull’universo del lavoro cui siamo stati abituati, e delle relazioni ad esso connaturate.

Scarica il Position Paper in formato PDF

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

Scopri l'Universal Design nell'ospitalità

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April 3, 2020
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April 3, 2020

L'impatto sugli spazi di lavoro

Lo spazio, nello Smart working, ha fatto leva su uffici sempre più collaborativi e integrati con la città, su luoghi di lavoro “activity based” e cioè calibrati sulle esigenze specifiche di differenziate attività e modalità lavorative, sull’espansione inarrestabile dei Coworking, nati dal basso da singoli professionisti e poi diventati vere e proprie imprese di esperienze di lavoro, su uffici On Demand gestiti da piattaforme online che dispongono di spazi di lavoro di qualsiasi genere e dimensione e per qualsiasi lasso di tempo, su luoghi eterogenei che si articolano fin negli interstizi urbani e alimentano un mixed use di interazioni sociali, intellettuali, commerciali, e quindi sul crescente fenomeno dei third place come luoghi sempre più coinvolti in attività che mescolano work e leisure.

Una costellazione di contenuti, quindi, che comprende anche i temi dello sharing, della condivisione e ibridazione di beni e servizi, dell’incoraggiamento a “collisioni casuali” e non programmate tra persone e business diversi (teorizzate come feconde e produttive), della mobilità interna ed esterna ai luoghi di lavoro.

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L’impatto del coronavirus su tutto ciò è dirompente: i third place, termine coniato dal sociologo americano Ray Oldenburg nel 1989 per definire i luoghi che non sono né casa né ufficio, sono temporaneamente congelati, mentre i first (le abitazioni) e i second (i luoghi di lavoro) si sono sovrapposti (o meglio i secondi si sono installati, armi e bagagli, nei primi). Negli Stati Uniti, allo stato attuale sono 817 (ma crescono ogni giorno) le società tecnologiche presenti nell’elenco di “stayinghome.club” – una sorta di albo del WFH (Work From Home) – perché hanno cambiato modo di lavorare a causa del Covid-19: di queste 443 impongono il lavoro da casa e 336 lo incoraggiano; le Università sono 53 e stanno attivando il remote teaching in 32.

In Italia, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2019 gli smart worker erano circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018. Oggi sono raddoppiati di colpo, anche triplicati in alcune realtà più attrezzate (per fare un esempio che ci riguarda, in Lombardini22 siamo passati da 80 a 270 persone in remoto su un totale di 300 professionisti).

Già il 2 febbraio Bloomberg descriveva questo fenomeno come “il più grande esperimento di telelavoro al mondo”, poiché è vero che nella grande maggioranza dei casi di telelavoro si tratta, più che di Smart working vero e proprio.

Tuttavia un boom a così grande scala, che è il dato più contingente che stiamo vivendo, è un acceleratore di processi di cambiamento che avrà un impatto a medio termine non solo sulla bipolarità semplice dell’opzione “casa/ufficio tradizionale” ma su tutta la più ampia gamma di possibilità che, secondo le parole di Chris Kane (Six Ideas), è definibile come “OmniChannel Workplace”, sollevando una serie di questioni e incertezze sull’universo del lavoro cui siamo stati abituati, e delle relazioni ad esso connaturate.

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