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Dove nascono, fioriscono e crescono i talenti

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Dialogo aperto sulla formazione, apprendimento e crescita
4/5/2021
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Si è svolto il 21 aprile 2021 l’incontro “Dove nascono, fioriscono e crescono i talenti”, libera conversazione tra Franco Guidi, CEO e Partner Lombardini22, e Daniela Lucangeli, Professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Padova.

Primo evento “phygital” del programma culturale 2021 di Lombardini22, è stato un dialogo aperto sul tema della formazione, dell’apprendimento e della crescita indagati in modo trasversale, con uno sguardo rivolto al mondo della scuola – cioè l’ambito istituzionale deputato a ciò che intendiamo per educazione – ma anche al mondo del lavoro e dei rapporti professionali. Un incontro che, se dovessimo riassumerne l’atmosfera, potremmo definire “ad alta intensità”.

Perché la formazione?

È un tema che da sempre coinvolge Lombardini22 per l’attenzione che la società pone sulla crescita non solo della propria performance aziendale ma anche delle competenze, hard e soft, dei suoi professionisti: argomento che oggi è diventato particolarmente caldo e sensibile, soprattutto a causa della cesura che la pandemia ha imposto a tutto il sistema di relazioni che costituiscono il tessuto vitale dei processi formativi e di apprendimento. Ed è una questione che non riguarda solo le nuove generazioni ma interessa anche gli adulti, per quanto è innegabile che il momento attuale sia “una gelata su fiori che stanno sbocciando”, come afferma Daniela Lucangeli con una efficace metafora.

Tuttavia ci siamo chiesti quali siano i modi e i contesti più adatti affinché i processi di crescita, umana e professionale insieme, possano dispiegarsi in maniera libera e davvero formativa anche al di là della contingenza specifica, e questo ci ha portato ad affrontare temi profondamente radicati nei processi cognitivi ed emotivi di ognuno di noi.

Giudizi ed errori

Il primo argomento con cui Franco Guidi sollecita la discussione è il giudizio: il modello giudicante è ancora prevalentemente diffuso nella scuola come nella leadership lavorativa e nei rapporti intersoggettivi in genere, ma con quali conseguenze? Daniela Lucangeli cita una recente ricerca di psicologia sociale da cui emerge che la totalità degli intervistati ritiene di essere molto giudicata e solo in misura marginale giudicante: avendo tutti risposto nello stesso modo, ciò rivela un diffuso bias di valutazione dei nostri comportamenti e relazioni interpersonali.

Inconsapevolmente giudichiamo, e questo influisce sulle dinamiche di apprendimento e sul rapporto con le “persone significative” – siano esse gli insegnanti in ambito scolastico o i “capi” in quello professionale – che riconosciamo come riferimenti per costruire l’immagine del sé, mantenendo tale relazione in una dimensione “giuridica”.

“Il termine giudizio ha la stessa radice di giustizia, ma giudicare non è giustizia, è interpretazione” (Lucangeli).

Il modello giudicante, di conseguenza, innesca quella paura di sbagliare che porta alla negazione dell’errore e non alla sua comprensione come parte integrante della crescita. Etichettato come colpa o patologia – in un bambino diventa deficit o mancanza di “applicazione” – l’errore (e soprattutto il giudizio su di esso) produce dolore psichico non elaborato e viene quindi negato, nascosto, in un cortocircuito emozionale che trasforma il sentire profondo del nostro “radar-cervello” in linguaggio non più riconoscibile. Al contrario, afferma Daniela Lucangeli:

“L’errore è l’intelligenza biologica dell’organismo, è un avvertimento nel suo cammino evolutivo”.

L’errore non ha una coloritura morale se non come guida, orientamento, “segnaletica” articolata che suggerisce i necessari cambiamenti di rotta da seguire in un percorso di crescita e di sviluppo che non può mai essere lineare (errare = vagare, vagabondare). Ma la sua elaborazione non si risolve solo al livello dell’intelligenza cognitiva.

Basi sicure e “noi cooperativo”

È necessaria invece una piena valorizzazione delle interazioni tra sfera cognitiva ed emozioni (che sono anche il substrato “pilota” dei nostri processi decisionali razionali). Affinché ciò sia possibile, le figure non solo genitoriali e poi dei maestri e insegnanti scolastici ma anche, tra gli adulti, quelle dei tutor, dei coach, dei capi professionali, dovrebbero porsi come “basi sicure”.

“Scegliti un capo che ti vuole bene…” è il richiamo ricorrente di Franco Guidi rivolto all’habitat interno di Lombardini22.

E su quest’idea Daniela Lucangeli coglie l’occasione di un vero e proprio salto disciplinare. Richiamando la teoria dell’attaccamento dello psicanalista britannico John Bowlby, o le ricerche dell’etologo austriaco Konrad Lorenz, a partire dalle quali importanti lavori recenti confermano con grande evidenza il ruolo dell’emozione e dell’affettività, introduce il concetto di “base sicura”: indispensabile per sviluppare un rapporto intergenerazionale di fiducia reciproca.

Tra leadership professionale e psicologia evolutiva si stabilisce così un nesso: una specie di “zona di sviluppo prossimale” – concetto mutuato dallo psicologo e pedagogista sovietico Lev Vygotskij – in cui la leadership (percepita come non giudicante) diventa guida/base sicura che crea le condizioni di possibilità di un’alleanza tra figure e ruoli diversi in mutuo apprendimento: cioè l’idea di un “noi cooperativo” in uno spazio di libero movimento evolutivo.

Competenze morbide

Ciò implica creare contesti di ascolto reciproco per una crescita individuale e collettiva, umana e professionale, in cui coltivare non solo le competenze tecnico-prestazionali ma soprattutto le competenze sociali. Il necessario equilibrio tra capacità cognitiva ed emotiva è il cardine da cui sviluppare le soft skill, e queste possono trovare un terreno particolarmente fertile nei contesti lavorativi.

“Gli attuali sistemi educativi non integrano a sufficienza le esperienze formative del contesto di lavoro, privando le giovani generazioni di quelle soft skill che oggi sono sempre più fondamentali” (Franco Guidi).

Ma perché siamo tanto cognitivi quanto inesperti del “soft”? Da sempre nutriamo la sfera cognitiva come unico parametro valutativo, mentre non abbiamo un sistema consapevole dell’importanza della sfera emozionale e sociale. Come colmare questo gap?

Poiché sono competenze che si coltivano nella relazione, significa costruire circuiti condivisi, informati, “scintille di alfabetizzazione” che ci immergano in uno stato di apprendimento continuo: non possiamo smettere di imparare, perché è implicito nel processo vitale dell’organismo, altrimenti c’è stasi. Poi, in funzione del contesto (dell’ambiente), possiamo apprendere ciò che ci nutre ma anche ciò che ci avvelena. Quindi è importante apprendere, di nuovo, come diventare basi sicure nel contesto di un “noi cooperativo” e maieutico.

“Siamo una specie sociale: l’individualismo ci rende efficienti, ma è il noi che nutre l’io, dobbiamo essere individualità immersa nel noi” (Daniela Lucangeli).

Può l’architettura aiutare a costruire il contesto?

Domanda obbligata per una società di progettazione, e soprattutto per una società di ricerca da molti anni impegnata in temi di frontiera come lo sviluppo delle neuroscienze applicate all’architettura, arte che si attraversa e si vive con il corpo. Ed è da neuroscienziata che Daniela Lucangeli risponde:

“Noi non abbiamo solo un cervello, siamo un intero radar senziente i cui neuroni intessono tutto il nostro corpo: mani, tono della voce, organi interni, pelle cooperano a formare sincronicamente la percezione compatta. Il mio corpo è il mio spazio vitale, e l’architettura amplia il perimetro di questo spazio”.

Dunque la consapevolezza di transitare con il corpo in un ambiente cambia il nostro stato di benessere o malessere: vediamo, sentiamo, partecipiamo gli spazi in cui siamo, e i confini di quegli spazi diventano identità, come abiti mentali. Generare spazi tagliati male, dai confini inadeguati, produce effetti differenziali anche sull’apprendimento.

“In un contesto di bellezza percepita, i processi di apprendimento danno risultati più duraturi, elaborati e approfonditi”.

Non è compito di Daniela Lucangeli andare oltre su questo tema specifico, ma insieme abbiamo esplorato direzioni e possibilità alternative e divergenti rispetto ai modelli convenzionali cui siamo abituati per sondare il terreno di una diversa progettualità comune: pedagogica, lavorativa, civica e anche, ci auguriamo, degli spazi abitabili che potremo immaginare.

Apparentemente lontani dal nostro contesto di riferimento abituale, in realtà siamo chiamati tutti a un impegno collettivo e a uno sforzo politico e culturale comune. Ringraziamo Daniela Lucangeli per la disponibilità e l’apertura intellettuale che ci ha dedicato e soprattutto per la passione comunicativa che ha saputo trasmettere.

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

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May 4, 2021
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May 4, 2021

Dove nascono, fioriscono e crescono i talenti

Si è svolto il 21 aprile 2021 l’incontro “Dove nascono, fioriscono e crescono i talenti”, libera conversazione tra Franco Guidi, CEO e Partner Lombardini22, e Daniela Lucangeli, Professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Padova.

Primo evento “phygital” del programma culturale 2021 di Lombardini22, è stato un dialogo aperto sul tema della formazione, dell’apprendimento e della crescita indagati in modo trasversale, con uno sguardo rivolto al mondo della scuola – cioè l’ambito istituzionale deputato a ciò che intendiamo per educazione – ma anche al mondo del lavoro e dei rapporti professionali. Un incontro che, se dovessimo riassumerne l’atmosfera, potremmo definire “ad alta intensità”.

Perché la formazione?

È un tema che da sempre coinvolge Lombardini22 per l’attenzione che la società pone sulla crescita non solo della propria performance aziendale ma anche delle competenze, hard e soft, dei suoi professionisti: argomento che oggi è diventato particolarmente caldo e sensibile, soprattutto a causa della cesura che la pandemia ha imposto a tutto il sistema di relazioni che costituiscono il tessuto vitale dei processi formativi e di apprendimento. Ed è una questione che non riguarda solo le nuove generazioni ma interessa anche gli adulti, per quanto è innegabile che il momento attuale sia “una gelata su fiori che stanno sbocciando”, come afferma Daniela Lucangeli con una efficace metafora.

Tuttavia ci siamo chiesti quali siano i modi e i contesti più adatti affinché i processi di crescita, umana e professionale insieme, possano dispiegarsi in maniera libera e davvero formativa anche al di là della contingenza specifica, e questo ci ha portato ad affrontare temi profondamente radicati nei processi cognitivi ed emotivi di ognuno di noi.

Giudizi ed errori

Il primo argomento con cui Franco Guidi sollecita la discussione è il giudizio: il modello giudicante è ancora prevalentemente diffuso nella scuola come nella leadership lavorativa e nei rapporti intersoggettivi in genere, ma con quali conseguenze? Daniela Lucangeli cita una recente ricerca di psicologia sociale da cui emerge che la totalità degli intervistati ritiene di essere molto giudicata e solo in misura marginale giudicante: avendo tutti risposto nello stesso modo, ciò rivela un diffuso bias di valutazione dei nostri comportamenti e relazioni interpersonali.

Inconsapevolmente giudichiamo, e questo influisce sulle dinamiche di apprendimento e sul rapporto con le “persone significative” – siano esse gli insegnanti in ambito scolastico o i “capi” in quello professionale – che riconosciamo come riferimenti per costruire l’immagine del sé, mantenendo tale relazione in una dimensione “giuridica”.

“Il termine giudizio ha la stessa radice di giustizia, ma giudicare non è giustizia, è interpretazione” (Lucangeli).

Il modello giudicante, di conseguenza, innesca quella paura di sbagliare che porta alla negazione dell’errore e non alla sua comprensione come parte integrante della crescita. Etichettato come colpa o patologia – in un bambino diventa deficit o mancanza di “applicazione” – l’errore (e soprattutto il giudizio su di esso) produce dolore psichico non elaborato e viene quindi negato, nascosto, in un cortocircuito emozionale che trasforma il sentire profondo del nostro “radar-cervello” in linguaggio non più riconoscibile. Al contrario, afferma Daniela Lucangeli:

“L’errore è l’intelligenza biologica dell’organismo, è un avvertimento nel suo cammino evolutivo”.

L’errore non ha una coloritura morale se non come guida, orientamento, “segnaletica” articolata che suggerisce i necessari cambiamenti di rotta da seguire in un percorso di crescita e di sviluppo che non può mai essere lineare (errare = vagare, vagabondare). Ma la sua elaborazione non si risolve solo al livello dell’intelligenza cognitiva.

Basi sicure e “noi cooperativo”

È necessaria invece una piena valorizzazione delle interazioni tra sfera cognitiva ed emozioni (che sono anche il substrato “pilota” dei nostri processi decisionali razionali). Affinché ciò sia possibile, le figure non solo genitoriali e poi dei maestri e insegnanti scolastici ma anche, tra gli adulti, quelle dei tutor, dei coach, dei capi professionali, dovrebbero porsi come “basi sicure”.

“Scegliti un capo che ti vuole bene…” è il richiamo ricorrente di Franco Guidi rivolto all’habitat interno di Lombardini22.

E su quest’idea Daniela Lucangeli coglie l’occasione di un vero e proprio salto disciplinare. Richiamando la teoria dell’attaccamento dello psicanalista britannico John Bowlby, o le ricerche dell’etologo austriaco Konrad Lorenz, a partire dalle quali importanti lavori recenti confermano con grande evidenza il ruolo dell’emozione e dell’affettività, introduce il concetto di “base sicura”: indispensabile per sviluppare un rapporto intergenerazionale di fiducia reciproca.

Tra leadership professionale e psicologia evolutiva si stabilisce così un nesso: una specie di “zona di sviluppo prossimale” – concetto mutuato dallo psicologo e pedagogista sovietico Lev Vygotskij – in cui la leadership (percepita come non giudicante) diventa guida/base sicura che crea le condizioni di possibilità di un’alleanza tra figure e ruoli diversi in mutuo apprendimento: cioè l’idea di un “noi cooperativo” in uno spazio di libero movimento evolutivo.

Competenze morbide

Ciò implica creare contesti di ascolto reciproco per una crescita individuale e collettiva, umana e professionale, in cui coltivare non solo le competenze tecnico-prestazionali ma soprattutto le competenze sociali. Il necessario equilibrio tra capacità cognitiva ed emotiva è il cardine da cui sviluppare le soft skill, e queste possono trovare un terreno particolarmente fertile nei contesti lavorativi.

“Gli attuali sistemi educativi non integrano a sufficienza le esperienze formative del contesto di lavoro, privando le giovani generazioni di quelle soft skill che oggi sono sempre più fondamentali” (Franco Guidi).

Ma perché siamo tanto cognitivi quanto inesperti del “soft”? Da sempre nutriamo la sfera cognitiva come unico parametro valutativo, mentre non abbiamo un sistema consapevole dell’importanza della sfera emozionale e sociale. Come colmare questo gap?

Poiché sono competenze che si coltivano nella relazione, significa costruire circuiti condivisi, informati, “scintille di alfabetizzazione” che ci immergano in uno stato di apprendimento continuo: non possiamo smettere di imparare, perché è implicito nel processo vitale dell’organismo, altrimenti c’è stasi. Poi, in funzione del contesto (dell’ambiente), possiamo apprendere ciò che ci nutre ma anche ciò che ci avvelena. Quindi è importante apprendere, di nuovo, come diventare basi sicure nel contesto di un “noi cooperativo” e maieutico.

“Siamo una specie sociale: l’individualismo ci rende efficienti, ma è il noi che nutre l’io, dobbiamo essere individualità immersa nel noi” (Daniela Lucangeli).

Può l’architettura aiutare a costruire il contesto?

Domanda obbligata per una società di progettazione, e soprattutto per una società di ricerca da molti anni impegnata in temi di frontiera come lo sviluppo delle neuroscienze applicate all’architettura, arte che si attraversa e si vive con il corpo. Ed è da neuroscienziata che Daniela Lucangeli risponde:

“Noi non abbiamo solo un cervello, siamo un intero radar senziente i cui neuroni intessono tutto il nostro corpo: mani, tono della voce, organi interni, pelle cooperano a formare sincronicamente la percezione compatta. Il mio corpo è il mio spazio vitale, e l’architettura amplia il perimetro di questo spazio”.

Dunque la consapevolezza di transitare con il corpo in un ambiente cambia il nostro stato di benessere o malessere: vediamo, sentiamo, partecipiamo gli spazi in cui siamo, e i confini di quegli spazi diventano identità, come abiti mentali. Generare spazi tagliati male, dai confini inadeguati, produce effetti differenziali anche sull’apprendimento.

“In un contesto di bellezza percepita, i processi di apprendimento danno risultati più duraturi, elaborati e approfonditi”.

Non è compito di Daniela Lucangeli andare oltre su questo tema specifico, ma insieme abbiamo esplorato direzioni e possibilità alternative e divergenti rispetto ai modelli convenzionali cui siamo abituati per sondare il terreno di una diversa progettualità comune: pedagogica, lavorativa, civica e anche, ci auguriamo, degli spazi abitabili che potremo immaginare.

Apparentemente lontani dal nostro contesto di riferimento abituale, in realtà siamo chiamati tutti a un impegno collettivo e a uno sforzo politico e culturale comune. Ringraziamo Daniela Lucangeli per la disponibilità e l’apertura intellettuale che ci ha dedicato e soprattutto per la passione comunicativa che ha saputo trasmettere.

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May 4, 2021
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