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Architettura viva, da abitare

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Non tutto deve essere costruito per durare per sempre
1/12/2023
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L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che tiene conto dell’intero ciclo di vita dei prodotti: dall’estrazione delle materie prime alla progettazione, fabbricazione e distribuzione di un prodotto, fino alla sua fase di utilizzo e al riciclaggio. Per far sì che prodotti e materiali rimangano all’interno di questo circuito, occorre un cambiamento di mentalità da parte di tutti noi. Per questo nel 2021 il Parlamento europeo ha votato per il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, chiedendo misure aggiuntive per raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.

L’economia circolare non è un’utopia, ma una realtà possibile e necessaria che riguarda la progettazione di processi e di prodotti rigenerativi secondo un approccio integrato che coincide, per noi, con nuovi comportamenti virtuosi.Il tema è, per fortuna, di stretta attualità: tutti ne parlano e molte aziende sono in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di prodotti e soluzioni all’altezza della sfida che ci troviamo di fronte. Io vorrei provare ad andare oltre il messaggio di utilizzare materiali riciclati, riciclabili e disassemblabili, lanciando una provocazione a tutta la filiera del Real Estate: immaginare un intero edificio nel sistema dell’economia circolare.

Immutabile, maestosa, monumentale: per noi occidentali l’architettura è eterna, in grado com’è di rappresentare la storia della nostra civiltà. Partenone e Colosseo sono solo i primi due esempi di questa lunga evoluzione.

Senza dimenticare le nostre origini ‘illuministiche’ mi sembra arrivato il momento di guardare oltre e di rinnovare il nostro rapporto con il costruito.

Cosa ne pensate di un’architettura viva e fluida e proprio per questo con una sua recondita o dichiarata data di scadenza?

È il modello – diffuso all’estero che si sta affacciando timidamente anche in Italia – del built-to-rent che ha come caratteristica peculiare la realizzazione di immobili destinati all’affitto gestito professionalmente, ovvero con i più alti standard qualitativi degli interni, dell’architettura e di efficienza energetica e impatto ambientale secondo un modello dell’abitare as service.

Edifici nati per essere temporanei, quindi. Mi immagino una filiera alla ricerca dell’armonia, della velocità nel rispondere alle necessità, che mette al bando la speculazione. La dinamica dell’investimento porta alla gentrificazione, con tutti i danni collaterali di cui siamo testimoni. In questo nuovo modello concettuale il focus è invece il binomio uso e vita perché il bisogno di abitare sostenibile è a tempo, cambia e si evolve nel corso di ogni esistenza umana.

Noi occidentali, secondo cui il massimo grado di civiltà è il segno architettonico, possiamo fare pace con il concetto del fine vita per le opere di architettura e aprire il processo industriale del Real Estate a sperimentazioni temporanee e in itinere? Sarà verosimile abbracciare l’etica di non costruire manufatti inutili, e invece focalizzarsi sull’esperienza, anche emotiva, delle persone?

Sulla scorta di quanto visto alla Biennale di Architettura 2023 mi chiedo: e se un edificio fosse un organismo vivente? Questo interrogativo suggerisce le molteplici possibilità della relazione tra noi e l’architettura. Faccio mio l’ideale espresso da Takamasa Yoshizaka, artefice del padiglione Giappone ai Giardini della Biennale di Venezia, cui quest’anno è dedicata la mostra Architecture, a place to be loved/Architettura, un luogo da amare. Secondo il progettista giapponese «Creare qualcosa significa dargli vita» e occorre «Continuare a costruire mentre si utilizza». Un luogo da amare è possibile quando l’architettura reca incisi i suoi ricordi e le sue storie, quando incarna lo scenario e le attivitàche si sono svolte dentro e intorno a esso.

Considerare l’architettura come una forma di vita con un’esistenza individuale ci permette di amarla e nutrirla amorevolmente, abbracciandone i difetti e le inadeguatezze, come parte in costante mutamento della nostra vita. Questo va oltre la valutazione della sua funzionalità e delle sue prestazioni.È interessante immaginare come cambierebbe il nostro sguardo, il modo in cui guardiamo l’architettura se fosse una creatura vivente. Si tratta di un’opportunità preziosa per ristabilire il nostro rapporto con essa, per considerarla davvero uno strumento in eterna evoluzione attraverso il quale definirci giorno per giorno.

DI OGNUNO

Dal progetto DI OGNUNO (scopri di più sulla Reception di Ognuno), nato da un’iniziativa di HospitalityRiva in collaborazione con Lombardini22 con Village for all - V4A® Ospitalità Accessibile, nasce un documento digitale che accompagna in un viaggio nel mondo dell’ospitalità accessibile e della progettazione universale nel settore dell’accoglienza, alla ricerca di risposte e soluzioni per la creazione di spazi e servizi che rispondano alle esigenze DI OGNUNO.

Scopri l'Universal Design nell'ospitalità

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December 1, 2023
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Architettura viva, da abitare

L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che tiene conto dell’intero ciclo di vita dei prodotti: dall’estrazione delle materie prime alla progettazione, fabbricazione e distribuzione di un prodotto, fino alla sua fase di utilizzo e al riciclaggio. Per far sì che prodotti e materiali rimangano all’interno di questo circuito, occorre un cambiamento di mentalità da parte di tutti noi. Per questo nel 2021 il Parlamento europeo ha votato per il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, chiedendo misure aggiuntive per raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050.

L’economia circolare non è un’utopia, ma una realtà possibile e necessaria che riguarda la progettazione di processi e di prodotti rigenerativi secondo un approccio integrato che coincide, per noi, con nuovi comportamenti virtuosi.Il tema è, per fortuna, di stretta attualità: tutti ne parlano e molte aziende sono in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di prodotti e soluzioni all’altezza della sfida che ci troviamo di fronte. Io vorrei provare ad andare oltre il messaggio di utilizzare materiali riciclati, riciclabili e disassemblabili, lanciando una provocazione a tutta la filiera del Real Estate: immaginare un intero edificio nel sistema dell’economia circolare.

Immutabile, maestosa, monumentale: per noi occidentali l’architettura è eterna, in grado com’è di rappresentare la storia della nostra civiltà. Partenone e Colosseo sono solo i primi due esempi di questa lunga evoluzione.

Senza dimenticare le nostre origini ‘illuministiche’ mi sembra arrivato il momento di guardare oltre e di rinnovare il nostro rapporto con il costruito.

Cosa ne pensate di un’architettura viva e fluida e proprio per questo con una sua recondita o dichiarata data di scadenza?

È il modello – diffuso all’estero che si sta affacciando timidamente anche in Italia – del built-to-rent che ha come caratteristica peculiare la realizzazione di immobili destinati all’affitto gestito professionalmente, ovvero con i più alti standard qualitativi degli interni, dell’architettura e di efficienza energetica e impatto ambientale secondo un modello dell’abitare as service.

Edifici nati per essere temporanei, quindi. Mi immagino una filiera alla ricerca dell’armonia, della velocità nel rispondere alle necessità, che mette al bando la speculazione. La dinamica dell’investimento porta alla gentrificazione, con tutti i danni collaterali di cui siamo testimoni. In questo nuovo modello concettuale il focus è invece il binomio uso e vita perché il bisogno di abitare sostenibile è a tempo, cambia e si evolve nel corso di ogni esistenza umana.

Noi occidentali, secondo cui il massimo grado di civiltà è il segno architettonico, possiamo fare pace con il concetto del fine vita per le opere di architettura e aprire il processo industriale del Real Estate a sperimentazioni temporanee e in itinere? Sarà verosimile abbracciare l’etica di non costruire manufatti inutili, e invece focalizzarsi sull’esperienza, anche emotiva, delle persone?

Sulla scorta di quanto visto alla Biennale di Architettura 2023 mi chiedo: e se un edificio fosse un organismo vivente? Questo interrogativo suggerisce le molteplici possibilità della relazione tra noi e l’architettura. Faccio mio l’ideale espresso da Takamasa Yoshizaka, artefice del padiglione Giappone ai Giardini della Biennale di Venezia, cui quest’anno è dedicata la mostra Architecture, a place to be loved/Architettura, un luogo da amare. Secondo il progettista giapponese «Creare qualcosa significa dargli vita» e occorre «Continuare a costruire mentre si utilizza». Un luogo da amare è possibile quando l’architettura reca incisi i suoi ricordi e le sue storie, quando incarna lo scenario e le attivitàche si sono svolte dentro e intorno a esso.

Considerare l’architettura come una forma di vita con un’esistenza individuale ci permette di amarla e nutrirla amorevolmente, abbracciandone i difetti e le inadeguatezze, come parte in costante mutamento della nostra vita. Questo va oltre la valutazione della sua funzionalità e delle sue prestazioni.È interessante immaginare come cambierebbe il nostro sguardo, il modo in cui guardiamo l’architettura se fosse una creatura vivente. Si tratta di un’opportunità preziosa per ristabilire il nostro rapporto con essa, per considerarla davvero uno strumento in eterna evoluzione attraverso il quale definirci giorno per giorno.

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December 1, 2023
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