Ricerca

NuArch | Come la forma dell’architettura influisce sulle emozioni

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Presentato il progetto di ricerca
5/7/2021
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Cos'è lo spazio?

L’architettura significa in primis vivere uno spazio interno dinamicamente” diceva Bruno Zevi. Ma cos’è lo spazio?

Secondo l’Enciclopedia Garzanti di Filosofia, lo spazio fisico è una “estensione illimitata in tutte le direzioni nella quale si collocano i corpi materiali”, definizione con la quale Newton sarebbe stato del tutto d’accordo. Non lo sarebbe stato Leibniz, per il quale lo spazio è invece definito dalla presenza di oggetti, mentre per Kant spazio e tempo sono degli “a priori” che possediamo fin dalla nascita. Nel 1905, il fisico Ernst Mach sostenne che “i punti dello spazio fisiologico non sono altro che scopi di vari movimenti: prensili, dello sguardo, di locomozione”. Lo spazio è dunque definito da un potenziale d’azione, ed è con questa brillante intuizione di Mach che Giacomo Rizzolatti, Professore Emerito di Fisiologia Umana presso l’Università degli Studi di Parma, ha aperto negli spazi di Lombardini22 la presentazione dei primi risultati di NuArch: un progetto di ricerca che dal 2019 sta indagando gli aspetti più complessi della relazione tra forma dello spazio e rappresentazioni cerebrali corporee ed affettive.

Condotto presso la sede di Parma dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IN-CNR), il progetto è diretto dallo stesso Prof. Giacomo Rizzolatti e, insieme con Davide Ruzzon – Direttore di TUNED/Lombardini22 – vede coinvolto un team di ricercatori coordinato da Giovanni Vecchiato e costituito da Fausto Caruana e Pietro Avanzini.

Lo spazio intorno a noi

Rizzolatti ha avviato l’incontro con un affascinante excursus sulle ricerche sperimentali condotte dall’inizio degli anni '80 sullo spazio peripersonale – “lo spazio intorno a noi” – dal punto di vista neurofisiologico. L’affermazione di Mach sui punti dello spazio fisiologico, così come le precedenti “divagazioni” filosofiche citate, non potevano godere di prove sperimentali, mentre gli esperimenti hanno dimostrato, prendendo come modello di studio le aree motorie della scimmia e registrando l’area visiva V4 della corteccia cerebrale, quanto lo spazio sia effettivamente il luogo potenziale per le azioni – confermando così l’intuizione di Mach – e in particolare quanto lo spazio peripersonale sia neurologicamente codificato in modo che possa essere raggiunto. È noto come le ricerche del team di Rizzolatti abbiano portato negli anni '90 alla scoperta dei neuroni specchio, “strani” neuroni motori che rispondono non solo quando si compie un’azione ma anche quando si vede la stessa azione eseguita da un altro soggetto: empatia. E non solo.

Un gruppo di ricercatori giapponesi (Ishida, Nakajima, Inase, Makata) ha dimostrato quanto il fenomeno di mirroring codifichi non solo il gesto ma anche lo spazio peripersonale dell’altro – nel caso dell’esperimento, una persona distante che autostimolava diverse parti del proprio volto – con la stessa risposta neuronale riferita al proprio spazio. Dunque, empatia degli spazi.

È questo il termine con cui Lombardini22 ha iniziato a indagare il rapporto tra architettura e neuroscienze, un percorso ormai lungo molti anni che Franco Guidi – Ad e Partner Lombardini22 – ha ricordato introducendo l’incontro. Un ambito di ricerca che oggi, con il progetto NuArch, segna una tappa davvero importante perché per la prima volta, attraverso l’unione tra la realtà virtuale e l’analisi dei segnali elettroencefalografici (EEG), è possibile rilevare scientificamente il legame tra le caratteristiche dello spazio architettonico e le reazioni emotive e affettive dei soggetti che lo vivono dinamicamente.

La ricerca

Presentata da Giovanni Vecchiato, Ricercatore Post Doc presso la sede di Parma dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, la ricerca ha previsto la creazione di un modello parametrico dello spazio in grado di proporre 54 configurazioni architettoniche da percorrere in una camminata virtuale e immersiva.

La prima fase di studio ha coinvolto 29 soggetti, invitati a fare esperienza di uno spazio virtuale “puro” (cioè non connotato da arredi) e decontestualizzato (non riferibile a una funzione specifica). I parametri considerati nel modello (creato da DDLab, il team dedicato al digital all’interno di Lombardini22) riguardano infatti esclusivamente la delimitazione geometrica dello spazio: pavimento (costante), pareti laterali (variabili in larghezza), soffitto e finestre (variabili in altezza). A questi si aggiunge il colore (in alternativa caldo o freddo) che con la luce conferisce una qualità più realistica allo spazio.

Ai soggetti è stato chiesto di valutare la propria esperienza virtuale in due passaggi. Il primo riguarda le diverse configurazioni spaziali, valutate specificamente secondo il livello di arousal generato (ovvero di attivazione e reattività del sistema nervoso in risposta a uno stimolo) e della piacevolezza percepita (valenza). I risultati hanno mostrato una correlazione lineare tra questi due fattori: arousal e valenza sono collegati. Il parametro che influisce maggiormente sono le pareti laterali (pareti che si restringono generano alta reattività e bassa piacevolezza, e viceversa), mentre il dato cromatico (caldo o freddo) sembra meno influente.

In generale, i fattori di forma prevalgono su quelli di colore nel determinare l’emozione percepita, dimostrando che gli stati emotivi legati all’architettura sono maggiormente dipendenti da meccanismi sensorimotori (forma degli spazi architettonici) che visuomotori (colore).

Il secondo passaggio ha previsto l’introduzione di un avatar, una figura umana con diverse espressioni corporee (ad alto, neutro e basso arousal) anch’essa valutata secondo i due fattori descritti in precedenza. I risultati hanno mostrato che il giudizio cambia in funzione dello spazio in cui l’avatar è immerso ed è influenzato dalle precedenti esperienze architettoniche vissute.

Next steps e sviluppi per il Design

Sono primi, interessanti risultati, ad oggi comunicati e accettati in diverse conferenze internazionali presso la Academy of Neurosciences for Architecure, lo Human Brain Project, la Social & Affective Neuroscience Society, la Society for Affective Science. I prossimi passi del progetto NuArch riguarderanno i correlativi neurali, ovvero la misurazione attraverso elettroencefalografia dei risultati ottenuti a livello comportamentale anche da un punto di vista neurofisiologico, e inoltre l’introduzione dell’animazione cinematica degli avatar virtuali, per implementare l’interazione sociale all’interno degli spazi indagati.

Secondo Giacomo Rizzolatti, un successivo passo importante sarebbe unire la realtà virtuale con la risonanza magnetica, per osservare non solo i risultati elettroencefalografici (EEG) di superficie ma anche ciò che succede all’interno dei centri funzionali:

Attualmente non sono tecnologie compatibili – dice Rizzolatti – ma non sono del tutto negativo sulla possibilità che, con le dovute miniaturizzazioni, non si possa davvero fare.

È un’interessante prospettiva futura. Intanto possiamo già far tesoro di un principio generale: lo spazio non è mai neutro, lo sapevamo già. Oggi però possiamo prefigurare i suoi effetti combinando la realtà virtuale con la strumentazione necessaria per rilevare gli stati emotivi delle persone, capire quali sono i parametri architettonici che li influenzano e quali sono i vissuti dell’essere umano all’interno di situazioni sociali in spazi architettonici progettati ad hoc. Spazi architettonici ai quali restituire un “carattere”, come invita a fare Davide Ruzzon:

Nelle scuole d’architettura c’erano i corsi di ‘caratteri tipologici e distributivi’. Oggi il carattere tipologico si è in gran parte perso a favore del distributivo, il quale si è tradotto soprattutto in metriche. Dovremmo recuperare anche il ‘carattere’, perché ha forti implicazioni sull’edificio come luogo dell’esperienza dal punto di vista psicologico. Oggi quel carattere possiamo configurarlo in funzione delle attese emotive che proiettiamo nello spazio, delle azioni potenziali attraverso cui lo comprendiamo, ed anche della dimensione sociale e dell’esperienza dell’altro, attenuando le tensioni soggettive e intersoggettive: nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle carceri, negli ospedali. L’effetto dello spazio esiste ed oggi è dimostrabile e misurabile, possiamo governarlo con un’architettura non sterile, non puramente metrica, ma in grado di mettere al centro la qualità dell’esperienza delle persone.


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July 5, 2021
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July 5, 2021

NuArch | Come la forma dell’architettura influisce sulle emozioni

Cos'è lo spazio?

L’architettura significa in primis vivere uno spazio interno dinamicamente” diceva Bruno Zevi. Ma cos’è lo spazio?

Secondo l’Enciclopedia Garzanti di Filosofia, lo spazio fisico è una “estensione illimitata in tutte le direzioni nella quale si collocano i corpi materiali”, definizione con la quale Newton sarebbe stato del tutto d’accordo. Non lo sarebbe stato Leibniz, per il quale lo spazio è invece definito dalla presenza di oggetti, mentre per Kant spazio e tempo sono degli “a priori” che possediamo fin dalla nascita. Nel 1905, il fisico Ernst Mach sostenne che “i punti dello spazio fisiologico non sono altro che scopi di vari movimenti: prensili, dello sguardo, di locomozione”. Lo spazio è dunque definito da un potenziale d’azione, ed è con questa brillante intuizione di Mach che Giacomo Rizzolatti, Professore Emerito di Fisiologia Umana presso l’Università degli Studi di Parma, ha aperto negli spazi di Lombardini22 la presentazione dei primi risultati di NuArch: un progetto di ricerca che dal 2019 sta indagando gli aspetti più complessi della relazione tra forma dello spazio e rappresentazioni cerebrali corporee ed affettive.

Condotto presso la sede di Parma dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IN-CNR), il progetto è diretto dallo stesso Prof. Giacomo Rizzolatti e, insieme con Davide Ruzzon – Direttore di TUNED/Lombardini22 – vede coinvolto un team di ricercatori coordinato da Giovanni Vecchiato e costituito da Fausto Caruana e Pietro Avanzini.

Lo spazio intorno a noi

Rizzolatti ha avviato l’incontro con un affascinante excursus sulle ricerche sperimentali condotte dall’inizio degli anni '80 sullo spazio peripersonale – “lo spazio intorno a noi” – dal punto di vista neurofisiologico. L’affermazione di Mach sui punti dello spazio fisiologico, così come le precedenti “divagazioni” filosofiche citate, non potevano godere di prove sperimentali, mentre gli esperimenti hanno dimostrato, prendendo come modello di studio le aree motorie della scimmia e registrando l’area visiva V4 della corteccia cerebrale, quanto lo spazio sia effettivamente il luogo potenziale per le azioni – confermando così l’intuizione di Mach – e in particolare quanto lo spazio peripersonale sia neurologicamente codificato in modo che possa essere raggiunto. È noto come le ricerche del team di Rizzolatti abbiano portato negli anni '90 alla scoperta dei neuroni specchio, “strani” neuroni motori che rispondono non solo quando si compie un’azione ma anche quando si vede la stessa azione eseguita da un altro soggetto: empatia. E non solo.

Un gruppo di ricercatori giapponesi (Ishida, Nakajima, Inase, Makata) ha dimostrato quanto il fenomeno di mirroring codifichi non solo il gesto ma anche lo spazio peripersonale dell’altro – nel caso dell’esperimento, una persona distante che autostimolava diverse parti del proprio volto – con la stessa risposta neuronale riferita al proprio spazio. Dunque, empatia degli spazi.

È questo il termine con cui Lombardini22 ha iniziato a indagare il rapporto tra architettura e neuroscienze, un percorso ormai lungo molti anni che Franco Guidi – Ad e Partner Lombardini22 – ha ricordato introducendo l’incontro. Un ambito di ricerca che oggi, con il progetto NuArch, segna una tappa davvero importante perché per la prima volta, attraverso l’unione tra la realtà virtuale e l’analisi dei segnali elettroencefalografici (EEG), è possibile rilevare scientificamente il legame tra le caratteristiche dello spazio architettonico e le reazioni emotive e affettive dei soggetti che lo vivono dinamicamente.

La ricerca

Presentata da Giovanni Vecchiato, Ricercatore Post Doc presso la sede di Parma dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, la ricerca ha previsto la creazione di un modello parametrico dello spazio in grado di proporre 54 configurazioni architettoniche da percorrere in una camminata virtuale e immersiva.

La prima fase di studio ha coinvolto 29 soggetti, invitati a fare esperienza di uno spazio virtuale “puro” (cioè non connotato da arredi) e decontestualizzato (non riferibile a una funzione specifica). I parametri considerati nel modello (creato da DDLab, il team dedicato al digital all’interno di Lombardini22) riguardano infatti esclusivamente la delimitazione geometrica dello spazio: pavimento (costante), pareti laterali (variabili in larghezza), soffitto e finestre (variabili in altezza). A questi si aggiunge il colore (in alternativa caldo o freddo) che con la luce conferisce una qualità più realistica allo spazio.

Ai soggetti è stato chiesto di valutare la propria esperienza virtuale in due passaggi. Il primo riguarda le diverse configurazioni spaziali, valutate specificamente secondo il livello di arousal generato (ovvero di attivazione e reattività del sistema nervoso in risposta a uno stimolo) e della piacevolezza percepita (valenza). I risultati hanno mostrato una correlazione lineare tra questi due fattori: arousal e valenza sono collegati. Il parametro che influisce maggiormente sono le pareti laterali (pareti che si restringono generano alta reattività e bassa piacevolezza, e viceversa), mentre il dato cromatico (caldo o freddo) sembra meno influente.

In generale, i fattori di forma prevalgono su quelli di colore nel determinare l’emozione percepita, dimostrando che gli stati emotivi legati all’architettura sono maggiormente dipendenti da meccanismi sensorimotori (forma degli spazi architettonici) che visuomotori (colore).

Il secondo passaggio ha previsto l’introduzione di un avatar, una figura umana con diverse espressioni corporee (ad alto, neutro e basso arousal) anch’essa valutata secondo i due fattori descritti in precedenza. I risultati hanno mostrato che il giudizio cambia in funzione dello spazio in cui l’avatar è immerso ed è influenzato dalle precedenti esperienze architettoniche vissute.

Next steps e sviluppi per il Design

Sono primi, interessanti risultati, ad oggi comunicati e accettati in diverse conferenze internazionali presso la Academy of Neurosciences for Architecure, lo Human Brain Project, la Social & Affective Neuroscience Society, la Society for Affective Science. I prossimi passi del progetto NuArch riguarderanno i correlativi neurali, ovvero la misurazione attraverso elettroencefalografia dei risultati ottenuti a livello comportamentale anche da un punto di vista neurofisiologico, e inoltre l’introduzione dell’animazione cinematica degli avatar virtuali, per implementare l’interazione sociale all’interno degli spazi indagati.

Secondo Giacomo Rizzolatti, un successivo passo importante sarebbe unire la realtà virtuale con la risonanza magnetica, per osservare non solo i risultati elettroencefalografici (EEG) di superficie ma anche ciò che succede all’interno dei centri funzionali:

Attualmente non sono tecnologie compatibili – dice Rizzolatti – ma non sono del tutto negativo sulla possibilità che, con le dovute miniaturizzazioni, non si possa davvero fare.

È un’interessante prospettiva futura. Intanto possiamo già far tesoro di un principio generale: lo spazio non è mai neutro, lo sapevamo già. Oggi però possiamo prefigurare i suoi effetti combinando la realtà virtuale con la strumentazione necessaria per rilevare gli stati emotivi delle persone, capire quali sono i parametri architettonici che li influenzano e quali sono i vissuti dell’essere umano all’interno di situazioni sociali in spazi architettonici progettati ad hoc. Spazi architettonici ai quali restituire un “carattere”, come invita a fare Davide Ruzzon:

Nelle scuole d’architettura c’erano i corsi di ‘caratteri tipologici e distributivi’. Oggi il carattere tipologico si è in gran parte perso a favore del distributivo, il quale si è tradotto soprattutto in metriche. Dovremmo recuperare anche il ‘carattere’, perché ha forti implicazioni sull’edificio come luogo dell’esperienza dal punto di vista psicologico. Oggi quel carattere possiamo configurarlo in funzione delle attese emotive che proiettiamo nello spazio, delle azioni potenziali attraverso cui lo comprendiamo, ed anche della dimensione sociale e dell’esperienza dell’altro, attenuando le tensioni soggettive e intersoggettive: nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle carceri, negli ospedali. L’effetto dello spazio esiste ed oggi è dimostrabile e misurabile, possiamo governarlo con un’architettura non sterile, non puramente metrica, ma in grado di mettere al centro la qualità dell’esperienza delle persone.


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July 5, 2021
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