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Tornare alla normalità non è più un’opzione
8/5/2020
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Io non ho un’idea gentile della natura. La natura mi è sempre sembrata un nemico, un nemico feroce, anche se poi capisco che di noi uomini alla natura non importa proprio niente”.

Così scriveva Ettore Sottsass nel 1991, e non potrebbe essere più attuale, in questi tempi pandemici, ricordare il disinteresse della natura per il nostro destino, ora che sta dimostrando tutta la sua indifferenza nel replicare se stessa a nostre spese nella forma di un virus. Anche se, così pensando, non faremmo in definitiva che ricadere in una dicotomia artificiale, poiché non c’è l’uomo e poi la natura, ma due modi di intendere il nostro rapporto con l’elemento naturale:

la natura come ambiente che ci circonda, e l’uomo che con le sue necessità biologiche e psicologiche è parte della natura.

Con questa coppia di significati non separabili Sarah Williams Goldhagen, avvia l’evento The City we have in mind, moderando una tavola rotonda virtuale che ha visto – ieri 7 maggio 2020 – la partecipazione di scienziati, ricercatori, giornalisti e progettisti internazionali in un ricco e interessantissimo scambio di conoscenze e opinioni sulla relazione Natura/Città. L’evento, organizzato da Davide Ruzzon, direttore TUNED e promosso da Lombardini22 e Conscious Cities, ha affrontato un tema su cui sempre più si riflette nell’attuale momento storico e che oggi, in piena emergenza epidemica, è urgentissimo da ripensare.

 

"Siamo stati noia generare l'epidemia da Coronavirus, potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l'attività umana a scatenarla”.

Così David Quammen, autore del libro premonitore Spillover (2012) ha aperto gli interventi chiarendo la posizione espressa anni prima attraverso la sua ricerca:

I virus non vengono da un altro pianeta e non nascono dal nulla, sono virus che colpiscono gli animali ma potrebbero da un momento all'altro fare un salto di specie – uno spillover – e colpire anche gli esseri umani. I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi”.

Una posizione, oggi così reale, che diventa un monito a rispettare quegli ecosistemi “selvatici” in cui – con la nostra interferenza di natura estrattiva – siamo ospiti non desiderati.

Tema pienamente raccolto dal neuroscienziato Colin Ellard, che ci invita a utilizzare questo momento come occasione per riflettere su quanto la natura non sia “altro” da noi, ma siamo noi parte di un unico sistema naturale. Non a caso nelle nostre città (quelle città come “natura fatta dall’uomo”, diceva Le Corbusier) abbiamo bisogno di verde e di parchi, e in questi mesi abbiamo realizzato il valore dello spazio naturale (e dello spazio in generale) tanto che il divario sociale si è espresso in pieno nelle diverse disponibilità o costrizioni spaziali di ognuno (una casa con giardino, un ampio salone), dando anche luogo a specifici disturbi psicologici.

 Ma se lo spazio è il prodotto dei nostri valori, è anche ciò che quei valori ricrea incessantemente.

Così afferma Itai Palti:

Se le nostre abitudini sono cambiate, se desideriamo una vita più sana, dobbiamo riplasmare la città secondo nuovi bisogni, pensare a un’urbanistica che rispecchi altri valori,che entri più in contatto con la natura e favorisca il benessere dell’individuo”. Anche assecondando gesti che, “se prima erano automatici, oggi dovranno essere ripensati con una nuova intenzionalità,come passeggiare per strada evitando lo scontro con qualche passante”.

 

Dobbiamo far fronte a una fragilità di cui abbiamo nuova consapevolezza, nostro malgrado, sottolinea Jagan Shan condividendo le riflessioni emerse a partire dall’osservazione del suo territorio, l’India. Una fragilità che si manifesta nei fallimenti sociali, economici, di governo, nella violenza, nel disagio mentale: “È ora di guarire le nostre città, di inventare nuove possibilità”. Rimodellarle non dimenticando – continua l’epidemiologo Raymond Neutra – il ruolo cruciale chele città e le infrastrutture, le catene alimentari, le reti di trasporto dell’acqua e dell’energia hanno per proteggerci e salvaguardare la nostra salute.

 

Utopia o soluzioni possibili?

 

Adolfo Suarez cita il libro Ecotopia di Ernest Callenbach, del 1975, per dire quanto le descrizioni di quel romanzo utopico si siano rivelate veritiere per un futuro apparentemente lontano ma che è in realtà il nostro presente. L’invito – condiviso da Alessandro Melis – è quindi di

essere lungimiranti, cambiare rotta e “sconvolgere” i sistemi, esercitare la transdisciplinarità e il pensiero associativo per proporre idee pionieristiche della città di domani, reintegrandovi la natura in modo non tradizionale.

 

La domanda è: come mitigare il rischio di un’altra pandemia? Per Davide Ruzzon la chiave è anche nella consapevolezza del nostro corpo, nel fatto, per esempio,se in condizioni di riposo il cervello consuma il 25% della nostra energiacorporea, lo stress dovuto all’iper-artificialità del nostro ambiente determina prima un iperconsumo di energia, quindi di cibo e risorse naturali: 

Per controllare il consumo esterno dobbiamo iniziare dal risparmio energetico del nostro corpo, e il contatto con la natura e un buon progetto urbano ci aiuta"

Dovremo operare un distanziamento dalla "natura wildness'" per proteggerla il più possibile e proteggerci dal prossimo spillover, allo stesso tempo incorporarla con grande cura nella nostra nostra città come "natura domestica" nei parchi,  nel paesaggio delle campagne, fin dentro il tessuto della città continua che costituisce l'artificiale.

 
Il ritorno alla “normalità” non potrà quindi essere un ritorno al prima, a un “business as usual” di cui David Burney esprime timore concludendo il dibattito, ma a una nuova progettualità per il futuro delle nostre città da tradurre in un MANIFESTO, un elenco programmatico volto a ricordarci che tornare alla normalità non è più un’opzione.

 

Questi i punti:

·      diritto ad un’assistenza sanitaria universale

·      diritto a implementare le risorse pubbliche

·      diritto a porre definitivamente fine alle industrie inquinanti

·      diritto a incentivare le produzioni sostenibili

·      diritto a respingere il fattore economico come unico paradigma dominante

·      diritto allo spazio pubblico come simbolo di equità e giustizia sociale

Se siete curiosi di approfondire l’argomento, ecco la registrazione:

 

Scarica il Position Paper in formato PDF

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May 8, 2020
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May 8, 2020

Guarire le nostre città

Io non ho un’idea gentile della natura. La natura mi è sempre sembrata un nemico, un nemico feroce, anche se poi capisco che di noi uomini alla natura non importa proprio niente”.

Così scriveva Ettore Sottsass nel 1991, e non potrebbe essere più attuale, in questi tempi pandemici, ricordare il disinteresse della natura per il nostro destino, ora che sta dimostrando tutta la sua indifferenza nel replicare se stessa a nostre spese nella forma di un virus. Anche se, così pensando, non faremmo in definitiva che ricadere in una dicotomia artificiale, poiché non c’è l’uomo e poi la natura, ma due modi di intendere il nostro rapporto con l’elemento naturale:

la natura come ambiente che ci circonda, e l’uomo che con le sue necessità biologiche e psicologiche è parte della natura.

Con questa coppia di significati non separabili Sarah Williams Goldhagen, avvia l’evento The City we have in mind, moderando una tavola rotonda virtuale che ha visto – ieri 7 maggio 2020 – la partecipazione di scienziati, ricercatori, giornalisti e progettisti internazionali in un ricco e interessantissimo scambio di conoscenze e opinioni sulla relazione Natura/Città. L’evento, organizzato da Davide Ruzzon, direttore TUNED e promosso da Lombardini22 e Conscious Cities, ha affrontato un tema su cui sempre più si riflette nell’attuale momento storico e che oggi, in piena emergenza epidemica, è urgentissimo da ripensare.

 

"Siamo stati noia generare l'epidemia da Coronavirus, potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l'attività umana a scatenarla”.

Così David Quammen, autore del libro premonitore Spillover (2012) ha aperto gli interventi chiarendo la posizione espressa anni prima attraverso la sua ricerca:

I virus non vengono da un altro pianeta e non nascono dal nulla, sono virus che colpiscono gli animali ma potrebbero da un momento all'altro fare un salto di specie – uno spillover – e colpire anche gli esseri umani. I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi”.

Una posizione, oggi così reale, che diventa un monito a rispettare quegli ecosistemi “selvatici” in cui – con la nostra interferenza di natura estrattiva – siamo ospiti non desiderati.

Tema pienamente raccolto dal neuroscienziato Colin Ellard, che ci invita a utilizzare questo momento come occasione per riflettere su quanto la natura non sia “altro” da noi, ma siamo noi parte di un unico sistema naturale. Non a caso nelle nostre città (quelle città come “natura fatta dall’uomo”, diceva Le Corbusier) abbiamo bisogno di verde e di parchi, e in questi mesi abbiamo realizzato il valore dello spazio naturale (e dello spazio in generale) tanto che il divario sociale si è espresso in pieno nelle diverse disponibilità o costrizioni spaziali di ognuno (una casa con giardino, un ampio salone), dando anche luogo a specifici disturbi psicologici.

 Ma se lo spazio è il prodotto dei nostri valori, è anche ciò che quei valori ricrea incessantemente.

Così afferma Itai Palti:

Se le nostre abitudini sono cambiate, se desideriamo una vita più sana, dobbiamo riplasmare la città secondo nuovi bisogni, pensare a un’urbanistica che rispecchi altri valori,che entri più in contatto con la natura e favorisca il benessere dell’individuo”. Anche assecondando gesti che, “se prima erano automatici, oggi dovranno essere ripensati con una nuova intenzionalità,come passeggiare per strada evitando lo scontro con qualche passante”.

 

Dobbiamo far fronte a una fragilità di cui abbiamo nuova consapevolezza, nostro malgrado, sottolinea Jagan Shan condividendo le riflessioni emerse a partire dall’osservazione del suo territorio, l’India. Una fragilità che si manifesta nei fallimenti sociali, economici, di governo, nella violenza, nel disagio mentale: “È ora di guarire le nostre città, di inventare nuove possibilità”. Rimodellarle non dimenticando – continua l’epidemiologo Raymond Neutra – il ruolo cruciale chele città e le infrastrutture, le catene alimentari, le reti di trasporto dell’acqua e dell’energia hanno per proteggerci e salvaguardare la nostra salute.

 

Utopia o soluzioni possibili?

 

Adolfo Suarez cita il libro Ecotopia di Ernest Callenbach, del 1975, per dire quanto le descrizioni di quel romanzo utopico si siano rivelate veritiere per un futuro apparentemente lontano ma che è in realtà il nostro presente. L’invito – condiviso da Alessandro Melis – è quindi di

essere lungimiranti, cambiare rotta e “sconvolgere” i sistemi, esercitare la transdisciplinarità e il pensiero associativo per proporre idee pionieristiche della città di domani, reintegrandovi la natura in modo non tradizionale.

 

La domanda è: come mitigare il rischio di un’altra pandemia? Per Davide Ruzzon la chiave è anche nella consapevolezza del nostro corpo, nel fatto, per esempio,se in condizioni di riposo il cervello consuma il 25% della nostra energiacorporea, lo stress dovuto all’iper-artificialità del nostro ambiente determina prima un iperconsumo di energia, quindi di cibo e risorse naturali: 

Per controllare il consumo esterno dobbiamo iniziare dal risparmio energetico del nostro corpo, e il contatto con la natura e un buon progetto urbano ci aiuta"

Dovremo operare un distanziamento dalla "natura wildness'" per proteggerla il più possibile e proteggerci dal prossimo spillover, allo stesso tempo incorporarla con grande cura nella nostra nostra città come "natura domestica" nei parchi,  nel paesaggio delle campagne, fin dentro il tessuto della città continua che costituisce l'artificiale.

 
Il ritorno alla “normalità” non potrà quindi essere un ritorno al prima, a un “business as usual” di cui David Burney esprime timore concludendo il dibattito, ma a una nuova progettualità per il futuro delle nostre città da tradurre in un MANIFESTO, un elenco programmatico volto a ricordarci che tornare alla normalità non è più un’opzione.

 

Questi i punti:

·      diritto ad un’assistenza sanitaria universale

·      diritto a implementare le risorse pubbliche

·      diritto a porre definitivamente fine alle industrie inquinanti

·      diritto a incentivare le produzioni sostenibili

·      diritto a respingere il fattore economico come unico paradigma dominante

·      diritto allo spazio pubblico come simbolo di equità e giustizia sociale

Se siete curiosi di approfondire l’argomento, ecco la registrazione:

 

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